C'è tanta voglia di Inter. E l'Inter risponde correndo in testa alla classifica. C'è tanta voglia di Mourinho ma il portoghese ha le sue paturnie a Manchester dove le ha prese sul campo e negli spogliatoi dai nemici straricchi del City. Dunque tocca a Spalletti vestire gli abiti del Mourinho che fu, il paragone viene ritagliato come certe maschere di carnevale, Luciano=Josè. Bello sognarlo, dico per il popolo interista ma non soltanto, quasi impossibile realizzarlo per chi conosce il football e le sue vicende vere e non fantasiose. Mourinho è un protagonista assoluto, sta al centro di tutto e sempre, raggruma l'attenzione per distrarla dai problemi altri, cioè errori e omissioni dei suoi, discute gli arbitri indicando loro la via delle carceri, stuzzica gli avversari, definisce i giornalisti prostituti intellettuali ma non si nasconde mai, prepara il colpo con la dolcezza di un bambino e lo conclude con il morso della vipera. Spalletti recita una parte che ha scritto (e qualcuno lo aiuta) da tempo, non cerca nemici, li vede dovunque, ombre, respiri, ritiene che attorno gli ronzino tagliagole, figure e figuri cattivi e, allora, si contorce in un frasario che più che articolato è incasinato. Quando va al sodo, offende. Non stuzzica ma colpisce, a Roma il suo bersaglio erano i cronisti al seguito, se li trovava davanti con fastidio massimo e ne disprezzava il lavoro, deridendone i salari rispetto al suo, grandioso. Dicevano che porti sfiga ma lui, ricevendo un Tapiro da Striscia, replicò che la sfiga la portava effettivamente ai giornalisti che gli stavano davanti.
A Milano non ha a che fare con l'alveare delle radio della capitale ma incomincia a pizzicare alcuni suiveurs dell'Inter, in verità ha capito che, per storia antica e recente, la concorrente o rivale, insomma la nemica, sta a Torino, dunque si è divertito, diciamo così, a replicare a un individuo che (s)parlando in uno show di Juvetv, aveva miserabilmente oltraggiato i tifosi interisti. Si sente capopopolo, il certaldese, in questo crede di somigliare al portoghese che è di tutt'altra pasta e contenuti. Mourinho non vede ombre, anzi è luce lui, il resto è praticamente comparsa fuori scena. Capita agli allenatori toscani, si considerano diversi dal resto della tribù, sono i depositari del verbo, raramente però dei congiuntivi. L'Arno non ha risciacquato la loro lingua, la sintassi è precaria ma non dovendo esercitare la professione di docenti di italiano se la sfangano benissimo con il gioco del pallone. Spalletti a volte ricorda Fascetti, toscano viareggino, tifoso interista dall'età puberale, un altro che pungeva, e ancora punge, per dimostrare di essere non l'unico ma uno speciale sì. Di certo Luciano Spalletti oltre le parole agisce con i fatti, così a Roma, così a Milano, le sue squadre non sono spettacolari ma pragmatiche, se necessario mettere il catenaccio o l'autobus dinanzi alla porta, se ne fa necessità e virtù. Spalletti va diritto, magari camminando a in su e in giù a testa bassa, come era l'andatura di Enrico Cuccia, tuttavia famoso anche per il suo silenzio assoluto. Spalletti, dunque, non avvicinabile a Lippi, più superbo ma anche più vincente, forse a Ulivieri, di spigoli e di scorza dura, nemmeno ad Allegri, lineare come un'acciuga.
Va il merito, a Spalletti Luciano, di avere riportato l'Inter al censo che le appartiene e che la squadra aveva smarrito in questo settennato di nebbia e di rivoluzione. Il merito di avere riportato anche il pubblico a San Siro, mai pieno come in questi mesi. In fondo le ombre cinesi, in questo senso davvero, servono a diventare di nuovo grandi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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