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Andersson, l'antidivo che vince senza Ibra

La rinuncia alla stella è il suo manifesto: gioco concreto, ordine e squadra compatta

Andersson, l'antidivo che vince senza Ibra

I tifosi svedesi hanno scandito il suo nome per quasi 90 minuti, durante l'ottavo contro la Svizzera. E sono andati avanti anche a fine partita. Una scena mai vista nemmeno ai tempi di Ibrahimovic, eppure in questo Mondiale delle sorprese accade anche che a un anti-personaggio per eccellenza come il ct della Svezia Jan Olof Janne Andersson vengano riservati onori da idolo. Un allenatore, la sua squadra, un'unica entità. Lo si dice ormai da due anni, ovvero da quando Ibra ha annunciato il ritiro dalla nazionale, che la Svezia sia una selezione priva di stelle. Quindi, se questa squadra è arrivata tra le prima otto del mondo, in copertina non può che finire il tecnico, abile con il suo lavoro a ottenere il meglio dal materiale a propria disposizione.

Nelle partite ufficiali della gestione Andersson, in sole due occasioni la Svezia non ha trovato la via del gol: nella trasferta in Olanda (quando però ai nordici bastava non perdere 7-0 per mantenere il 2° posto) e nel play-off di ritorno contro l'Italia. Il calcio di Andersson è la semplicità al potere: disciplina, compattezza, poche idee ma realizzate bene. «Sono concreto», afferma Andersson, «non vivo di desideri o fantasie. Mi interessa avere un buon collettivo a cui trasmettere un'idea di gioco ben chiara». Siamo agli antipodi di icone della panchina quali Guardiola, Klopp, o Mourinho; qui c'è una filosofia basica che non si presta a storytelling e longform di analisi tattiche.

Dietro l'apparenza bonaria, si cela però un vulcano. Andersson è un generale, duro, deciso e coerente. Non ha ceduto al tentativo di ritorno di Ibrahimovic alla vigilia del Mondiale, opponendo il silenzio alle continue domande dei media svedesi. Unica concessione, un laconico: «Ha fatto la sua scelta e la rispetto». Traduzione: ora lui rispetti la mia. Per il Mondiale ha puntato su un attaccante che gioca negli Emirati Arabi Uniti (Berg) e uno (Toivonen) che non segna uno straccio di gol nel Tolosa. «Il calcio è un gioco di squadra, per me un gruppo unito è fondamentale». Emblematica la gestione di Forsberg, l'elemento più tecnico della squadra. I suoi compiti, in fascia, sono identici a quelli del collega Claesson, che opera nella parte opposta del campo: proporsi negli spazi creati dalle punte, chiuderli in fase di non possesso, coprire e ripartire. Nei mesi ispirati, come in quelli più discontinui, le consegne di Forsberg non sono cambiate di una virgola.

Andersson è diventato ct secondo modalità non diverse da quelle che in Italia portarono alla nomina di Ventura, ovvero un allenatore che: era fuori dai quadri federali (come invece era Tommy Svensson, l'uomo che condusse la Svezia in semifinale a Usa '94); non rappresentava una prima scelta (la SvFF aveva optato per Jorgen Lennartsson, che però non lasciò l'IFK Göteborg); si era guadagnato credibilità con piccole-grandi imprese nel calcio di provincia (nel 2015 Andersson condusse il Norrköping al titolo nazionale).

Premesse simili, risultati diametralmente opposti.

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