Un discorso di passione. Citata anche Oriana Fallaci con il suo «amare, lottare soffrire e vincere», però tralasciando la seconda parte delle parole della giornalista: «Chi ama soffre, chi soffre lotta, chi lotta vince. Ama molto, soffri poco, lotta tanto, vinci sempre». Al di là di retorica e proclami, un passaggio dell'intervento di Andrea Agnelli spiega l'inversione di tendenza, riassunto da un aforisma: «Dal lato gestionale, crescere di fatturato non significa eccellenza gestionale, il famoso modo di dire, fatturato è vanità, profitto è sanità, cassa è regina» (trattasi di detto inglese Turnover is vanity, profit is sanity but cash is reality). È esattamente la smentita di quello che è stata Juventus in questi ultimi anni, alla ricerca di un fatturato euromondiale, perdendo di vista la salute del profitto e il regno dei conti. Un cambio di registro e di rotta, l'avvio di un percorso che non potrà rinunciare alla competitività ma dovrà osservare rigorosamente lo stato finanziario del club, tenendosi a distanza da colpi di mercato, di grande effetto ma di pericolose conseguenze. Agnelli ha difeso l'operato del suo vice Nedved, oggetto di critiche da parte dei soci, per i comportamenti inurbani; la fedeltà alla causa, ribadita da Nedved, non può giustificare reazioni da calcio di periferia, non servono a lui e alla squadra, anzi ne aumentano l'antipatia già ai massimi storici, dopo il periodo di compassione, successivo a calciopoli. La Juventus è chiamata a un impegno immediato, tradurre sul campo lo spirito appassionato del suo capo, non è impresa semplice, c'è un avversario che desidera rendere vano qualunque sforzo di ripresa.
Lo spirito che muove Agnelli è differente da quello che accompagna Allegri: da una parte la storia di una famiglia, rappresentata da un presidente operativo e da un amministratore con tutte le deleghe non solo dell'area sportiva (non accadeva da vent'anni), dall'altra la cronaca di un personaggio molto disinvolto che vive gloria eccessiva e ha smarrito il significato vero di essere a guida di un gruppo che non è soltanto una squadra di football. A Verona, dunque, dove «non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità» (Oriana Fallaci).
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