
Milanello - L'apprendista stregone e il mago. Milan-Barcellona, andata degli ottavi di Champions league, un tempo definito il derby del mondo, può avere questa e cento altre definizioni. Ma tutte segnalano la distanza scavata durante l'estate scorsa tra la cifra tecnica dell'equipo più forte del mondo e il club più titolato al mondo che studia, da qualche settimana, per raggiungere la magia dell'armata catalana. Scontato l'interesse, a dispetto del pronostico tutto di colore blaugrana: 301 i giornalisti accreditati, 72 i fotografi, 50 le tv e 20 le radio collegate e un incasso ricco, molto ricco, da 5 milioni di euro, nuovo record per San Siro. Anche le quote degli scommettitori non offrono chance al giovanissimo Milan, privo del suo profeta più recente, Balotelli: chi punta sul Barça, favoritissimo, porta a casa pochi spiccioli, chi azzarda sul Milan può sperare in una bella cifra.
Barcellona nettamente davanti al Milan, allora. Ne è convinto anche Silvio Berlusconi, il presidente, prodigo di consigli oltre che di notizie sulle future scelte del mercato rossonero. «Spero che il mio Milan attuale non sfiguri, che il Barcellona non sia troppo padrone del gioco e del campo, una volta ho contato ben 32 passaggi di seguito» il suo giudizio venato dalla malinconia per il passato dominio. «Questo Barcellona, dopo il mio Milan di Sacchi e degli olandesi, è la squadra che ha marcato la storia» il riconoscimento pubblico e solenne. Condito da qualche battuta riservata ai suoi collaboratori («la cessione di Pirlo? me l'hanno fatta alle spalle, non mi han dato il tempo di parlare con lui») e da una traccia futura («stiamo seguendo Verratti»). Anche il tormentone Messi («non lo comprerò, son diventato povero» la battuta del presidente), come fermarlo, marcatura a uomo, no, una gabbia, no, due incaricati, uno per tempo, «così non si stancano troppo», «Flamini e Muntari» la dritta di Berlusconi in mattinata, si disperde nelle pieghe del pomeriggio con le notizie relative agli infortuni del francese e di Nocerino (piccola lesione al bicipite femorale destro).
É Galliani, presente per tutto l'allenamento, a dare l'anticipazione sul forfait di Flamini che richiama alle armi il capitano Ambrosini. Allegri, che è un tipo sveglio, sull'argomento si comporta come un disciplinato berlusconiano: «Accetto ben volentieri i consigli del presidente: è uno che sta nel calcio da 26 anni durante i quali ha vinto tutto, poi io vedo i ragazzi tutti i giorni e darò loro le migliori indicazioni». Fine della discussione e anche della voglia di sfruculiare tutto il Milan e far passare il livornese come si provò ai tempi con Fabio Capello, definito il cameriere di Arcore e invece uscito da Milanello come uno dei più vincenti in circolazione.
Il vero mago è lui, Lionel Messi, la famosa pulce diventata un gigante, che trascina da anni il Barcellona a un ritmo incredibile di gol, dribbling e successi ed è su questo punto che lavora Allegri, da psicologo. «Mi rifiuto di partire battuto, prima di cominciare siamo sempre 0 a 0» insiste sotto gli occhi di Montolivo che si guarda intorno come se stesse per entrare al luna park invece che a San Siro per partecipare alla sfida con l'aureola del nuovo Pirlo, «orgoglioso del paragone di Berlusconi». «Dobbiamo avere la convinzione di poter guadagnare la qualificazione» è il martellante motivo scelto dal livornese per cementare sicurezza e coraggio a un gruppo, spolpato da una sequenza di accidenti (fuori anche Robinho). Tocca a Muntari sorvegliare la partenza di Messi, col contributo di Constant e l'esperienza di Ambrosini, chiamato a presidiare il cuore della difesa, dove la presenza di Mexes può comportare rischi di ogni tipo.
«Dobbiamo mettere da parte il più piccolo personalismo e avere spirito di sacrificio, non vedo l'ora di giocare questa partita pazzesca» confessa alla fine Montolivo che è uno dei pochi talenti a cui affidare propositi fieri. Al resto possono provvedere El Shaarawy e Boateng. Sempre poco, troppo poco, per contrastare le avanzate di Xavi, Iniesta e Fabregas.