Batigol fa 50: il regalo è un docu-film

«Per la Fiorentina mi sono distrutto le caviglie, ma ne è valsa la pena»

Marcello Di Dio

Di ruggiti e mitraglie in campo ne ha mostrati tanti. E oggi che il Re Leone, alias Gabriel Batistuta, compie mezzo secolo di vita, Firenze è pronta a celebrarlo con un docu-film che si chiamerà semplicemente «El numero nueve». C'è solo da fissare il giorno - forse a metà febbraio - e la location della festa (possibile l'Arengario di Palazzo Vecchio, in stile talk-show). «Tutti mi ricordano che festeggio 50 anni e non so se mi fa piacere perchè lo fanno o mi dispiace perchè so bene che traguardo sia - così Batigol -. Le persone non mi vedono come una superstar perchè sono normalissimo: non è cambiato niente da quando ero in campo, ho gli stessi amici e vivo dove sono nato».

Dalle Pampas a un viaggio in giro per il mondo a fare il calciatore di mestiere. Tre mondiali con l'Argentina (con cui ha vinto due volte la Coppa America), ma soprattutto undici stagioni e mezzo in Italia, prima dell'ultimo contratto d'oro in terra qatariota con l'Al Arabi. E un legame fortissimo con la Fiorentina, dove approdò nel 1991 per poi lasciarla nove anni più tardi quando al sua cessione servì a sanare il bilancio del club gigliato. «La gente di Firenze - ha raccontato l'argentino - si arrabbiò molto con me per il mio approdo alla Roma». Dove ha finalmente vinto lo scudetto, visto che in viola si era fermato alla Coppa Italia e alla Supercoppa italiana, oltre che a un titolo di capocannoniere nella stagione 1994-95. «Firenze, così antica nei suoi monumenti e nei suoi palazzi all'inizio nemmeno mi piaceva, oggi ho compreso che è valsa la pena rompersi le caviglie per la maglia viola», l'ammissione di chi è innamorato di questa maglia.

E dopo l'addio al calcio, con le cartilagini delle caviglie compromesse si sottopose a un intervento chirurgico doloroso, in seguito al quale propose al suo medico di amputargli

le gambe. Oggi sta meglio e si gode l'affetto dei suoi cari, con i quali festeggerà i suoi primi 50 anni. «Il calcio di oggi mi piace ma non provo le stesse emozioni di quando giocavo io. Il mio trofeo è la mia famiglia».

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