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Belgio, un puzzle d'oro che batte tutti i tabù

Da Hazard a Lukaku, cresciuti in modi e paesi diversi. Con Henry «suggeritore»

Belgio, un puzzle d'oro che batte tutti i tabù

Con la vittoria sul Brasile dello scorso venerdì, in casa del Belgio sono caduti tutti i tabù. Il primo: la maledizione delle sudamericane, sempre carnefici dei Diavoli Rossi negli scontri da dentro e fuori ai Mondiali (l'Argentina in semifinale nell'86, il Brasile agli ottavi nel 2002, l'Argentina ai quarti nel 2014). Il secondo: la mancanza di vittorie dell'attuale generazione d'oro così come è chiamata in patria contro le big del calcio mondiale in partite ufficiali (il match contro l'Inghilterra ai gironi non conta perché valeva come un'amichevole). Il terzo: l'ombra di Messico '86, con quello storico quarto posto a mettere inconsciamente pressione ai giocatori, non importa quante partite di Champions League abbiano disputato o quanti trofei si trovino nella loro bacheca. A livello di esperienza, l'attuale Belgio quasi doppia la Francia. Considerando infatti gli undici titolari nei rispettivi quarti di finale, i Diavoli Rossi sommano 817 presenze in nazionale (media 74.2) contro le 449 dei transalpini (media 40.8). Sarà una sfida, a livello simbolico, tra allievi e maestri, dopo la riforma federale che ha riportato in alto il calcio belga pescando da entrambi i vicini di casa: il sistema olandese (scelta dello schema unico da adottare a qualsiasi livello, dalle accademie ai vivai dei club), ma anche quello francese (i Centri di formazione per allenatori e staff tecnici).

Poco tempo fa Dries Mertens ha dichiarato che non esiste uno stile calcistico belga, sottolineando la flessibilità della proposta calcistica del proprio paese, una nazionale variegata persino nello staff tecnico, dallo spagnolo Martinez al vice Henry, stasera nella delicata veste di ex. Indubbiamente, l'attuale generazione è il frutto di un grande sforzo di assemblaggio, viste le diverse varianti formative dei protagonisti. I fratelli Eden e Thorgan Hazard sono stati portati ancora adolescenti dal padre in Francia perché in Vallonia non esistevano strutture formative adeguate: il primo è cresciuto nel Lille, il secondo nel Lens, perché il genitore voleva traiettorie diverse per ciascun figlio. L'Olanda ha invece cresciuto il trio della difesa Vertonghen-Vermaelen-Alderwiereld, cooptati dal vivaio Ajax, mentre addirittura nella serie B oranje hanno dovuto scendere Chadli e Mertens, ignorati in patria, esplosi nell'Agovv Apeldoorn e quindi cresciuti passo dopo passo, fino ad arrivare rispettivamente in Premier e in Serie A. Percorsi differenti anche tra i prodotti casalinghi, dove a enfant prodige come Courtois (debutto nel Genk a 16 anni, campione nazionale da titolare a 17), Lukaku (capocannoniere del campionato con l'Anderlecht a 16 anni), Witsel (Standard Liegi) e De Bruyne (Genk), si contrappongono giocatori dal percorso più lento e tortuoso. E' il caso di Fellaini, costretto a cambiare quattro club prima di imporsi nello Standard Liegi, o di Meunier, che a 18 anni integrava la paga del Virton (3ª serie belga) facendo il postino, prima della chiamata del Brugge. Guadagnava 1.250 euro al mese.

Oggi nel Psg ne incassa più di 8mila al giorno.

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