Troppi gol non significa, per forza, buoni attaccanti. Modificando le parole di Enrico Cuccia riferite all'importanza delle azioni delle società finanziarie, i gol «vanno pesati e non contati». La classifica dei cannonieri conferma il dato crescente, una comitiva compatta, una mezza dozzina di ragazzi oltre le 20 reti, cosa che nella storia del calcio italiano è accaduta soltanto cinque volte, l'ultima vent'anni fa ma con gente di censo superiore ai contemporanei. Con tutto il rispetto che si deve o si dovrebbe a Belotti e Dzeko, Immobile, Mertens e, vabbè, Higuain, nella stagione '97-98 gli attori principali erano Roberto Baggio, Ronaldo quello vero, Batistuta, Del Piero, Bierhoff e Montella. Alzate le palette e date un punteggio, ritengo che non ci sia partita e non soltanto per motivi nostalgici.
Lo studio statistico ripropone cognomi belli, davvero antichi, da Schiavio a Mumo Orsi (di cui potrei raccontare un aneddoto riportato da Enrique Omar Sivori), da Meazza a Nordahl, da Boniperti ad Amadei, da Nyers a John Hansen e ancora Benito Lorenzi e Wilkes, comunque un sfilata vip distribuita nei club più famosi dell'epoca, quando il ritmo del gioco non era intenso come oggi e nessuno parlava e scriveva di densità e ripartenze. Nereo Rocco spiegò in due parole la tattica migliore del suo Padova: «Solo noi femo el catenaccio. Gli altri fa calcio prudente». Il metodo era stato abbandonato per fare posto al sistema, così chiamato perché a disegnarlo fu l'inglese Chapman con l'Arsenal: venne definito, il nuovo sistema di gioco, il Chapman system. Più accorta la difesa, dunque, una filosofia intelligente con alcune esasperazioni, il Vianema, con il quale Gipo Viani, nella Salernitana, mise assieme le due soluzioni tattiche, arretrando il centravanti (è forse il falso nueve, ma va?) a fare il difensore, come già fatto dall'Ungheria con Hidegkuti. Per evitare noie da kamasutra tattico, dico che l'attenzione alla fase difensiva non significa affatto rinuncia alla fase opposta di attacco. La conferma più evidente arrivò con la nazionale di Enzo Bearzot che arrivò a portare al gol tutti gli interpreti dei vari ruoli, dal terzino Gentile a Cabrini, passando dai mediani (Oriali), al centromediano (Collovati), al libero (Scirea), dall'ala (Bruno Conti) agli interni (Tardelli, Antognoni), agli attaccanti tutti (Graziani, Altobelli, Rossi), dunque un vero football collettivo che aveva, come accade puntualmente per qualunque grande formazione, la sua spina dorsale nelle figure del portiere, del difensore principale e dell'attaccante.
Oggi il cosiddetto calcio totale, versione rivista e scorretta delle fantasie olandesi e delle geometrie danesi, per restare all'ambito europeo, ha mischiato le carte, tutti devono sapere fare tutto ma spesso accade che pochi sappiano fare benissimo qualcosa, il resto è approssimazione, intensità, densità. I cannonieri di oggi, sugli almanacchi del calcio, detti anche tiratori scelti da non confondere con i cecchini, i nuovamente classici numeri 9, non subiscono le torture di un tempo, hanno maggiore libertà con la zona rispetto al marcamento a uomo, anche se, è doveroso ricordarlo e sarebbe maligno dimenticarlo, il ritmo è forsennato e i tempi di sviluppo, di un'azione manovrata, sono da centometristi, mentre la prevalenza del muscolo porta a interventi sfacciati, così come la crisi del fosforo produce svarioni da parrocchia.
Il gol, comunque, è quello che serve per divertirsi. Spesso arriva dalla genialità, dallo stile e dalla forza di un attaccante. Disse Vujadin Boskov: «Pallone entra quando Dio vuole». A volte pallone entra quando difensore vuole.
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