La Rossa ha vinto. In altri tempi, tempi lontani, sarebbe stata cosa importante che però finiva puntualmente dispersa e sottovalutata fra i tanti successi della gloriosa epoca schumacheriana. In altri tempi avremmo gioito il giusto, avremmo applaudito abbastanza, avremmo brindato un poco per poi metterci frettolosamente a far di conto per poter dire, sazi e abituati, che questa era la vittoria stagionale numero cinque o sei o sette della Ferrari di Schumi e Todt.
In altri tempi. Oggi no. Oggi che è solo la vittoria numero due di una stagione di lavori in corso, è però una vittoria che vale tante belle soddisfazioni. Perché arriva dopo i mesi di speranze disattese seguite al successo in Malesia; perché la Ferrari aveva preso a fare il gambero rosso; e perché ai tifosi delusi non potevano certo bastare il curriculum di Marchionne e il cognome del team principal: Arrivabene. Serviva di più.
E il di più è arrivato. Il trionfo di Budapest è stato sportivo e netto. Ma il di più di cui avevamo tutti bisogno è soprattutto arrivato perché per certe soddisfazioni impagabili bisogna saper cogliere l'attimo. E le truppe maranelliane ne hanno colti persino tre. Il primo: onorare come si deve la memoria del povero Jules Bianchi scomparso sabato scorso. Il secondo: disinnescare in parte i propositi del boss del Circus Bernie Ecclestone che, forse per un dissapore con Arrivabene, pare avesse chiesto alla regia di inquadrare poco le Rosse (nel caso fosse tutto vero, c'è da domandarsi se questo sia il modo in cui la F1 intende combattere il calo di audience).
Terzo: ricacciare in gola al presidente onorario Mercedes nonché ingrata ex icona ferrarista Niki Lauda quel «la Ferrari sa fare solo spaghetti...» pronunciato giusto un paio di settimane fa.Sì, in altri tempi sarebbe stata solo una vittoria. Oggi è una gran vittoria.
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