Oggi è il giorno, che Davide Cassani attende da un anno. Che tutti gli appassionati del ciclismo aspettano impazienti come i bimbi attendono il Natale. Non c'è l'albero, anche se da queste parti, a Bergen, in Norvegia, di alberi di Natale se ne intendono. È una tradizione nordica, come quella di Babbo Natale, che noi come tante altre cose abbiamo importato. Qui, oggi, in palio c'è la maglia iridata, quella di campione del mondo, un regalo che Cassani accetterebbe più che volentieri, visto che il nostro ciclismo non brinda più da Varese 2008, con Alessandro Ballan.
Cassani non ha fatto la letterina (anche se la casella postale di Babbo Natale non è lontana da qui: a Droebak si trova il suo ufficio postale, ndr), ma si è limitato come gli Alfredo Martini, i Franco Ballerini e lo stesso Paolo Bettini, a fare una riunione: sa di avere una buonissima squadra, pronta a dare battaglia, a giocarsela fino in fondo e a vendere cara la pelle, anche se non è la più forte, ma certamente la più pericolosa per imprevedibile.
Cassani si è presentato in Norvegia sereno come pochi, senza la patente di squadra favorita: in una corsa difficile e complicata come quella di oggi, potrebbe rivelarsi un vantaggio.
Cassani, che Nazionale dobbiamo aspettarci?
«Una Nazionale in salute. Non la più forte, ma pronta a correre da squadra. I favoriti sono altri».
Ci faccia qualche nome.
«Peter Sagan su tutti. Poi i norvegesi Boasson Hagen e Kristoff, l'australiano Matthews, il polacco Kwiatkovski e i belgi Van Avermaet e Gilbert. Hanno tutti un grande pedigree, fatto di mondiali, Olimpiadi e grandi classiche. Noi però abbiamo un gruppo di ragazzi che in questo ultimo anno sono cresciuti tanto, ma a questi livelli ancora non sono arrivati».
Su chi dobbiamo porre le nostre attenzioni?
«Matteo Trentin ha corso una Vuelta eccezionale, arricchita da quattro vittorie di tappa. Elia Viviani ha conquistato un paio di classiche in agosto. E Sonny Colbrelli ha dimostrato di esser pronto a centrare successi importanti. Come Diego Ulissi, l'ultimo che è salito sulla carrozza azzurra, grazie al successo al Gp di Montreal. Ma io vi invito a seguire anche Gianni Moscon, uno dei talenti più puri che il nostro movimento ha la fortuna di avere».
Però non dobbiamo farci illusioni
«C'è bisogno di un pizzico di fortuna, questo è chiaro. Anche se negli ultimi due anni siamo andati vicini al risultato: l'Europeo di un mese e mezzo fa l'abbiamo perso di un centimetro (Kristoff su Viviani, ndr). L'Olimpiade di Rio ci è sfuggita perché Nibali è caduto nella discesa finale. Sarà un'Italia che dovrà correre con intelligenza. Non dovrà fare la corsa, ma non dovremmo neanche subirla».
Che tipo di percorso è quello di Bergen?
«Non duro, ma lungo: 267 km che alla fine si faranno sentire, soprattutto se ci sarà freddo e pioggia».
Un movimento il nostro, che sembra però in salute.
«Nibali e Aru ce li abbiamo noi. E poi ci sono tanti ragazzi giovani che stanno crescendo nel migliore dei modi. È il frutto di un lavoro iniziato tre anni fa, con i team giovanili. L'esempio è Moscon: grazie al suo team under '23 (Zalf Euromobil Fior, ndr), ha avuto la possibilità di fare un cammino ideale verso il professionismo (team Sky, ndr) correndo con le Sperimentali azzurre e oggi è il talento che promette di più».
Come si dice in questi casi: che vinca il migliore.
«Speremo de no, per dirla con Nereo Rocco. I migliori sono altri, ma noi possiamo dire la nostra».
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