Questione di punti di vista. E di conti in sospeso e di successioni e di simpatie mai nate e di convivenze necessarie e forzose. Sul traguardo malese a far rumore, oltre al motore della SF15T, sono le parole di chi su quel traguardo non c'è. E non è Alonso. Sono invece il neo presidente Ferrari Sergio Marchionne e l'ex presidente Luca di Montezemolo. Uomini grandi e potenti che si sono lasciati male e che ora un poco tirano per la giacchetta la Rossa di Sepang. Vittoria mia, no la vittoria è anche mia è il senso. Un meraviglioso e umano e prevedibile e, dai, anche sacrosanto scambio di vedute divergenti nel significato ma convergenti nella passione.
Hanno ragione entrambi. Ha ragione Marchionne quando dice «complimenti a Seb e Kimi per una gara sensazionale. Sono felice per tutti i tifosi che aspettavano da troppo tempo una giornata così. Forza Ferrari... Quello che abbiamo visto è il risultato dell'incredibile duro lavoro degli ultimi mesi, un lavoro fatto in silenzio e con umiltà come fa una grande squadra». Ultimi mesi, sottolinea Marchionne e un pizzico importante della resurrezione maranelliana è innegabilmente farina delle sue scelte. Ma al netto degli ultimi infelici anni, ha le sue ragioni anche l'ex presidente Montezemolo quando, rompendo il silenzio in cui si era avvolto solo pochi giorni prima, ieri ha detto «la gioia è tale che voglio condividerla non solo con i tifosi, ma con tutti gli uomini e le donne di Maranello che dal febbraio scorso hanno lavorato per riportarla al livello che le spetta... Forse c'è stato anche qualche piccolo errore Mercedes, ma ciò non toglie che la Rossa è stata grandissima e io ne sono felice perché questa vittoria è un premio a chi nel 2014 ha progettato e sviluppato macchina e motore e per chi, in seguito, ha preso le redini in mano perfezionandola e migliorando l'organizzazione. I risultati si sono visti. Mi riempie di gioia vedere questa bella continuità tra chi ha progettato la vettura e chi l'ha sviluppata».
Meravigliosa divergenza di due tifosi ferraristi. Le loro parole di pancia hanno la forza di far passare quasi in secondo piano quelle del trionfatore, di Seb Vettel. Ma è segno dei tempi anche questo. Un tempo saremmo stati qui a raccontare di quanto è bello e bravo e alto e forte e simpatico e umile e intelligente Sebastian capace di fare come altri belli, bravi, grandi e salvatori della patria ferrarista quali Michael Schumacher e Fernando Alonso. Stavolta no. Stavolta, se solo si ha un po' di buon senso, appare chiaro come la macchina e il lavoro dei mille uomini nascosti dietro di essa vengano prima di tutti. E agli smemorati, a quelli che Vettel è già un dio, ci pensano proprio i due tifosi divergenti, Marchionne e Montezemolo, a ricordare una volta di più tutti gli sforzi e i sacrifici dietro questa impresa.
Fateci caso, la dote di Vettel che più spesso nelle ultime ore è stata decantata non è la velocità, non è il coraggio, non è la visione di gara, ma... l'umiltà. Dall'approccio semplice con cui ha affrontato quest'avventura agli occhi lucidi e la commozione di ieri con cui ha celebrata la vittoria.
E, forse, su questo, i due presidenti divergenti saranno d'accordo. Anche perché su chi l'ha voluto in Rosso la partita è aperta da mesi: «No, l'ho voluto io» ripete Marchionne, «no l'ho chiamato prima io» ha fatto capire l'altro. Bene così.
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