Enrique Omar Dybala? Lionel Dybala? No, Paulo Dybala, luce abbagliante, artista, il sogno che si realizza, solista e direttore assieme, idolo ultimo del popolo bianconero. Nostalgia del passato remoto, Sivori e i suoi calzettoni addormentati sulle caviglia, sfida contemporanea con il fuoriclasse, Messi, anch'egli figlio della terra del tango e del football.
Paulo Dybala sorge come un sole che dà colore all'alba di questa partita di champions league e poi scalda l'aria dello Stadium già carica di furori e di voci pazze. Dybala è il calcio come lo intende e lo pensa chi lo ama davvero, chi lo studia ma non ne diventa schiavo, robot di schemi e di ripartenze. È calciatore moderno con stile antico, è astuzia e perfidia, è classe e stile.
Il primo tempo del suo film è stato da Oscar come attore protagonista, assoluto, mentre di fronte il suo compatriota più illustre, sicuramente ingoiava bile che nemmeno il friulano dottor Poser potrebbe cancellare con diete e sacrifici.
C'è stato un fotogramma, uno soltanto nei primi tre quarti d'ora, in cui Messi ha toreato il ragazzo bianconero, lo ha attirato nella sua trappola di miele e lo ha lasciato imbambolato, Dybala è rimasto ubriaco dalle finte del rivale che se ne era già andato altrove.
Ma quell'istantanea è roba piccola a confronto dei due poster confezionati da Dybala, il primo con un sinistro a girare, immediato, così perfetto e geniale che soltanto un campione può immaginare e poi creare. Il secondo con un colpo di rasoio, sempre di sinistro sul quale il tedesco Ter Stegen si è coricato come i suoi connazionali fanno sulle spiagge nostrane. Non è il caso di correre verso il paradiso, subito. Dybala cresce con la Juventus, se avesse frequentato le scuole elementari italiane non a Palermo ma già a Torino, così come Maradona a 21 anni, nel Barcellona e lo stesso Messi addirittura a 13 anni con i blaugrana, probabilmente la sua maturazione sarebbe già più rotonda. Ma il paradiso può attendere mentre la Juventus corre, non sembra affatto voler rallentare il proprio passo, eccitata dal suo fenomeno che diventa un gioiello prezioso sul mercato europeo. E ripenso ai giorni in cui Antonio Conte, nel suo avvio di allenatore della nazionale, andò a Palermo cercando di convincere Dybala a rinunciare al sogno dell'albiceleste, avrebbe dovuto fare i conti con tipi potenti, Higuain, Messi, Di Maria, Aguero, Lavezzi, mentre, scegliendo l'azzurro, secondo quello che le sue lontane origini suggerivano, avrebbe risolto la questione della concorrenza con Pellé, Eder e Zaza. Dybala respinse l'idea, Conte dovette accettare il rifiuto.
Storie ormai lontane ma che ribadiscono la dimensione del ragazzo di Laguna Larga, la sua fede e il suo progetto.
Lo chiamano Joya. Che sia una gioia, per chi lo osserva, non ci sono dubbi, ma è Sufrimiento, sofferenza, per chi lo subisce. Ci saranno altre sfide, altri film, altri gol.
Il Barcellona è stato un sogno realizzato, non soltanto per lui. Non lo dimenticheranno nemmeno i catalani abituati al caviale e al foie gras, magari progettando lo scippo alla ditta bianconera. Per il momento la Juventus si tiene stretto il gioiello, probabilmente, un giorno, capitano di questa comitiva.
La notte di Torino ne ha confermato la purezza, l'arte di questo argentino è perfetta nella sua normalità, non fisica, non prepotente, i suoi gol non sono mai casuali, i suoi gesti sono quelli di un mago di idee.
I tifosi juventini più datati, ehm,
rivedono in lui le mosse di Enrique Omar Sivori, l'idolo di Gianni e Umberto Agnelli. Adesso è Andrea a godersi il giocattolo, c'è ancora tempo per divertirsi e Dybala ha voglia di accontentarlo. Tra una settimana al Camp Nou.
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