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Coe contro Ovett. Lotta di classe in pista

I due inglesi rivali agli antipodi. L'aristocratico Sebastian oro nei 1500, il ribelle Steve negli 800

Coe contro Ovett. Lotta di classe in pista

Tormento ed estasi tifando per due giganti dell'atletica nati sotto diversa stella. Sebastian Newbold Coe, barone di Ranmore, Steve Ovett il ribelle di Brighton, East Sussex, nato sulle giostre della vita proletaria. Pensando a loro in una poesia francese ci siamo trovati spesso nelle sere illuminate dal loro carbone ardente e in quelle vaporate di rosa. Diciassette primati mondiali battuti, 12 dal barone.

Per questi due splendidi corridori britannici ci fermiamo un'altra volta ai Giochi di Mosca del 1980, quelli di Mennea, Simeoni, Damilano, le Olimpiadi tormentate dal boicottaggio: 26 comitati olimpici non risposero all'invito per protesta contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan, 29 declinarono l'invito, 5 disertarono dopo l'adesione iniziale, 3 rinunciarono all'iscrizione, 12 non vennero riconosciuti dal Cio. Fra le 16 che sfilarono con la sigla del Comitato olimpico nazionale anche l'Italia che fece sorridere il pubblico dello stadio Lenin perché CONI in russo voleva dire cavalli, e la Gran Bretagna dei duellanti che hanno fatto la storia. I protagonisti di questa storia olimpica da raccontare adesso che i Giochi sono in pandemia.

Una battaglia personale fra il grande ribelle Ovett, il maleducato che correva spesso con la maglia dell'Unione Sovietica sotto la casacca ufficiale, e il ragazzo simpatico, il garbato Coe. Il primo nato il 9 ottobre 1955 a Brighton, sul mare, sgranocchiando zucchero filato che era roccia per i denti, il secondo venuto al mondo il 29 settembre 1956 nel distretto londinese di Chiswich, nella zona Sud dove fu sepolto Ugo Foscolo prima del trasferimento delle ceneri a Firenze, in Santa Croce.

Avevano cominciato nelle campestri, ma per molto tempo si erano soltanto sfiorati fino ai duelli nello stadio Lenin. Coe era il favorito degli 800 che invece vinse Ovett che non aveva invece quote contro nei 1500 conquistati da sir Sebastian duca di Ranmore, quello che nel tempo è diventato un gigante anche fuori dalle piste: prima deputato con i conservatori, poi nel cuore dell'organizzazione stupenda dei Giochi di Londra, infine presidente eletto due volte alla guida dell'atletica mondiale.

Per leggere bene questa loro battaglia moscovita, dove il mondo e non soltanto i britannici, si sarebbero portati a letto Ovett ma sposato Coe, un libro bellissimo, I Rivali, di Maurizio Ruggeri, anima radiofonica di zona Cesarini, con prefazione di Giorgio Cimbrico, un poeta del giornalismo che farebbe innamorare dell'atletica persino i fanatici del fantacalcio. Due battaglie: la finale degli 800 del 26 luglio 1980 vinta da Ovett per 45 centesimi sull'adorabile nemico che non credeva potesse resistere dopo l'attacco del sovietico Kirov; quella che diede l'oro dei 1500 a Coe che nel ricordo della beffa sulla sua distanza attaccò subito mandando in apnea la roccia che all'arrivo dovette lasciare anche l'argento al prussiano Jurgen Straub.

Il passo composto di Coe, allenato dal padre ingegnere che non sapeva molto di atletica, ma sapeva leggere bene tutti i testi sacri, l'esuberanza di Ovett che si trovò il nemico in casa dopo essersi rivelato al mondo negli europei del 1978 a Praga, dove noi conoscemmo meglio fratello Pietro (100 e 200) e sorella Sara (alto) oltre alla sorpresa Ortis (5000), vincendo l'oro dei 1500 e l'argento negli 800. Coe invase il campo della roccia con 3 record del mondo fra Oslo e Zurigo. La dichiarazione di guerra fece subito reagire Ovett: «A me interessa la vittoria non il record, il tempo da solo non è così importante». Si sfioravano, ma non si affrontavano, arricchivano, ma evitavano il confronto. Fino a Mosca dove la loro sfida illuminò l'Olimpiade tradita.

Per capire i duellanti un aneddoto ricordato bene da chi ne ha scritto con passione. Lo raccontò Ovett al suo rivale quando i due si incontrarono in Australia molti anni dopo. Sebastian padrone del mondo, Steve esiliato da un divorzio turbolento in Australia dove poi ha fatto il giornalista sportivo. Il ricco confessò al povero che nel Natale di quel 1980, nel gelo di Londra, non si era gustato il pudding della madre divorato dopo un allenamento durissimo sotto la neve. Era tormentato perché si stava domandando cosa facesse Ovett in quella giornata gelida, sicuro che fosse fuori ad allenarsi. Ci pensò un po', ma poi rimise le scarpette, la tuta, e uscì di nuovo tormentandosi nella tormenta. Quando il barone confessò quello che aveva fatto venne fuori il solito Ovett: «Ma come, Sebastian, ti sei allenato soltanto due volte quel giorno».

Erano così. Splendidi e tanto diversi. Coe era stato delizia per tante riunioni atletiche italiane nel periodo inventato dalla genialità di Primo Nebiolo, da Rieti, in casa Giovannelli e Milardi, a Firenze. Ovett, invece litigava con tutti, un giorno fece addirittura infuriare i decatleti, i grandi e veri eroi dell'atletica come racconta loro storia magnifica e sconosciuta al grande pubblico salvo che in Germania e Stati Uniti, ma pure in Gran Bretagna come testimoniò il magnifico Thompson che in un'intervista a chi gli chiedeva se soffrisse il fatto di essere un campione di colore rispose «non mi sono accorto di essere nero», dicendo che in fin dei conti facevano nove prove per bambini, salvo poi sacrificarsi davvero nei 1500, la sua corsa.

Grazie ai duellanti ci ricorderemo di Mosca 1980, grazie a loro e poi a Cram, la Gran Bretagna è riuscita a nobilitare il mezzofondo veloce, nel nome di Ovett e Coe, che poi fu oro anche a Los Angeles, altra olimpiade dimezzata, con una gioia nei 1500 e il boccone amaro nei suoi 800 vinti dallo splendido brasiliano Cruz.

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