Il dribbling di Silva per Mateo

Lo spagnolo e il figlio nato prematuro che lotta per la vita

Tony Damascelli

Puoi essere ricco. Puoi essere famoso. Puoi essere giovane, bello, ammirato, invidiato. Credi di avere la vita nelle tue mani, le apri e trovi la polvere, l'odore della disperazione. Capita a molti, all'insaputa di tutti, capita a gente illustre e allora la vicenda sorprende perché il resto, la fama, la bella vita, il benessere, sono carta straccia, non servono più a nulla. Mateo Silva è il figlio di David Silva, lo spagnolo canario campione di tutto con la sua nazionale e protagonista nel Manchester City che guida la Premier League. Per tre settimane, David è scomparso, uscito dal calcio perché suo figlio, appunto Mateo, nato prematuramente, al sesto mese, sta lottando per restare in vita. David Silva è tornato in campo, martedì sera, contro il Watford, dimostrando lo stile e la classe silenziosa di sempre. Ma ha voluto rendere pubblica la propria sofferenza, un messaggio di ringraziamento ai suoi compagni di squadra a Guardiola, ai medici, qualche riga per spiegare un'assenza alla quale il football, la partita, il gol non possono rimediare. La testa sta altrove, i pensieri portano via la concentrazione, l'idolo torna umano. Non c'è spazio per la gioia se non effimera, quasi una liberazione prima di tornare nell'antro dei pensieri grigi. Un figlio è disarmato come lo siamo noi dinanzi a un male che non ha limiti, non ha spiegazioni. Così accade a Bernardo Corradi, ex attaccante di Inter, Lazio e Manchester City, la stessa squadra di Silva. Elena Santarelli e Bernardo Corradi hanno scelto, come David Silva, di spiegare e scrivere il loro improvviso dolore per la malattia che, a nove anni, tormenta Giacomo, il loro figlio. Lo stesso era capitato a Leonardo Bonucci con l'angoscia per il dramma di suo figlio Matteo.

Le parole, lo scritto, un tweet, un post, diventano una via di uscita, il tentativo di coagulare la sofferenza insieme con chi già la conosce e potrebbe arrivare in soccorso, consolatorio. Ma accade, poi, che i social si trasformino in una cloaca, di insulti e maledette reazioni, un sordo e lercio coro di cattiverie, perché è un peccato essere famosi, è una vergogna vivere la vita dolce, l'inferno è la giusta condanna per chi tutto ha avuto. Forse la discrezione, forse il silenzio sarebbero le soluzioni migliori per evitare il fracasso di un mondo che ha smarrito il senso del rispetto.

Un calciatore deve pensare soltanto al pallone, quando tenta di collegarsi con il resto del mondo, per illustrare la propria gioia e, nel caso di Silva, di Corradi e di Bonucci, per spiegare il proprio dolore, allora scopre una realtà acida che è poi la vita di tutti gli altri, fuori dal campo di gioco, lontano dall'urlo degli stadi. Nessuna pietà per Mateo, per Giacomo, per Matteo, appena approdati in questa vita ma già naufraghi in un mondo alla deriva.

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