Dove mi porta lo sguardo. Così ha scritto Douglas Costa de Souza sul suo sito web. Ha aggiunto immagini di gabbiani in volo, una vecchia bicicletta e una barca, abbandonata sulla riva. Solitudine e nostalgia della sua terra dolce e lontana. Ma poi c'è il football e allora la dolcezza si trasforma in ferocia, Douglas accende il gas, parte, dribbla, è saetta, è fulmine improvviso che porta il panico, accentua la tensione. Un brasiliano dal viso un po' strano, quasi stupita l'espressione ma sono elementi a margine, le sue gambe scaricano potenza e velocità micidiali, rende ridicolo qualunque avversario osi parargli davanti, spaventa la difesa e spiazza pure i propri compagni di squadra, impreparati a tanto ritmo che non è samba, non è carnevale di Rio ma fuochi di artificio, sì, sontuosi. Aveva lasciato il Brasile per emigrare in Ucraina, i denari dei nuovi ricchi lo avevano convinto ad accettare le offerte dello Shakhtar, non era il massimo per chi era abituato alle spiagge sabbiose e alla schiuma del mare ma il professionista non può vivere di nostalgie. Ci fu una volta, però, dopo una partita ad Annecy vinta dallo Shakhtar e i cinque brasileri, Alex Teixeira, Fred, Dentinho Facundo Ferreyra e lui, Douglas Costa, sparirono dall'albergo, non si presentarono all'aeroporto, la guerra che stava straziando l'Ucraina, i morti e le fiamme di Donetsk consigliarono la fuga, l'ammutinamento. La storia brutta provocò multe e denunce, poi la protesta rientrò. Douglas Costa passò in Germania, al Bayern dove, chiuso da Ribery e Robben, si limitò a osservare, con qualche apparizione sporadica, nonostante Pep Guardiola lo considerasse l'uomo del futuro, il campione capace di fare la differenza.
Non così il pensiero di Carlo Ancelotti che rispedì ai margini il brasiliano. Venne la rottura, per incomprensione, per una storia di contratto da rinnovare e prolungare.
La sfida di champions league contro la Juventus a Torino convinse Marotta e Paratici a chiederne informazioni a Rummenigge, affare fatto, prestito ma riscatto a quaranta milioni.
Anche a Torino, Douglas ha dovuto attendere la chiamata, don Abbondio Allegri ha preferito studiarlo, fargli conoscere il gioco italiano, le marcature, l'attenzione tattica esasperata, qualche presenza episodica, mai la convinzione.
Poi, finalmente, Douglas Costa ha messo in moto il suo turbo e oggi è l'uomo della differenza, il gol di Roma, complice Donnarumma, è arrivato nella serata giusta.
Don Abbondio gli ha concesso l'applauso del pubblico, orejas y ovaciones dicono gli spagnoli quando scrivono del torero trionfante in corrida, così è stato contro il Milan, le solite fughe improvvise, i dribbling velenosi, il tiro crudele a piegare le mani mollicce del portiere milanista, sono le sue nuove immagini da aggiungere alla bicicletta arrugginita, al volo dei gabbiani, alla barca arenata su una spiaggia di chissà dove ma così vicine. Verrà lo scudetto e verrà per Douglas Costa il mondiale, in Russia, alla ricerca di nuovi approdi, di altri dribbling, di altre corse magnifiche.
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