Gatlin si arrende Solo un cameraman può stendere Usain

Il giamaicano centra la doppietta anche a Pechino Poi cade mentre festeggia, travolto da un operatore

Polvere magica sulle ali, il sorriso di sempre, la solita fuga per la vittoria del velocista giamaicano nato fra i fulmini nella parrocchia di Trelawny, imprendibile per anni, dopo le Olimpiadi del 2008, non raggiungibile neppure adesso che è tornato sulla terra e, anche se viaggia quattro metri dietro al suo record sui 200 metri (19"19), ha potuto quasi farsi un autoscatto sul traguardo mondiale.

Usain Saint Leo Bolt accarezza tutti gli avversari battuti nella finale dei 200, 16° oro in carriera fra mondiali ed Olimpiadi, non li straccia come ai Giochi cinesi della sua nascita divina, come a quelli di Londra, ma va più forte che a Mosca 2 anni fa (19"66) e li batte ancora nettamente in 19"55, miglior tempo al mondo quest'anno: quasi due metri (19"74) al Gatlin che ha capito subito l'impossibilità di rivincita, per il cento metri forse regalato, nella doppia distanza dei maghi con fibre bianche, la casa più comoda del fulmine, anche se stare in corsia nella curva, per uno di 195 cm con 94 chili da trasportare non è facile, lui il peccatore di New York poteva al massimo essere un tuono. Più distante il ventitreenne talento sudafricano Anaso Jobodkvana che nel gioco dei millesimi si è preso, con 19"87, il bronzo sul panamense Edward, accreditato dello stesso tempo.

Bolt fra gli umani, ma sempre irraggiungibile come vi potrebbe dire l'inglese di Anguilla Hughes, 5° con il personale di 20"03, come potrebbe giurare lo sbadato cameraman cinese che, però, alla fine, è stato l'unico capace di metterlo davvero a terra. Lo inseguiva, durante il festoso giro di ringraziamento al popolo del Nido, telecamera in spalla, sotto i piedi un biroccino a due ruote. Quando finalmente lo ha raggiunto, felice per una bella inquadratura, seppure di spalle, ha sentito il terremoto sotto i piedi mentre le ruote toccavano i tabelloni pubblicitari facendolo sbandare e finire contro il campione del mondo che è finito a terra sbalordito. Non erano avversari infuriati, tifosi estasiati, ma uno sfortunato operatore. Si è guardato uno dei magici polpacci, ha riaperto gli occhi, capito la situazione e da vero re di Camelot si è affrettato ad aiutare l'inconsolabile autore del fallo da dietro.

Parentesi serena in una finale che invece in precedenza aveva visto campioni straordinari scuotere fortemente l'albero dove ci sono le tacche dei progressi umani nell'atletica leggera. Ci aveva provato, nel triplo, raggiungendo m.18.21, Christian Taylor, venticinquenne di Fayettville, Georgia, la città degli ultimi tumulti e tensioni fra poliziotti e giovani afroamericani, facendo sussultare nella cabina della Bbc sir Jonathan Edward che dal mondiale di Goteborg 1995 detiene il primato con 18.29. Taylor, oro olimpico a Londra, campione ai mondiali di Daegu, deve amarli davvero gli inglesi se da un anno, per seguire la sua allenatrice Rana Reider, ingaggiata dalla federazione britannica, vive e si allena a Loughborough, il campo pratica dell'eccellenza nel Leicestershire. Per lui battaglia fino alla fine con il cubano Picardo (17.73) e il portoghese Evora (17.52).

Ancora prima la trentenne martellista polacca Anita Wlodarczyk ha sfiorato i 100 mila dollari di premio per un record mondiale sparando la boccia di ferro a 80.85, a 23 centimetri dal suo strepitoso primato fatto qualche settimana prima di Pechino. Doppio oro polacco nel martello, ma speriamo che non sia andata a festeggiare come il collega e connazionale Fajdek che dopo molti brindisi ha dovuto pagare il taxi con la medaglia d'oro.

Nella giornata dei purosangue tutti in piedi per Allison Felix, trentenne

californiana, figlia del pastore di Santa Clarita, allenata da Bob Kersey, il marito e allenatore della grandissima Jackie Joyner, vincitrice dei 400, lei regina dei 200 per tanti anni, 12° oro fra olimpiadi (4) e mondiali.

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