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Ghirelli, dalla boxe con Brera a portavoce del Quirinale

Innovatore del giornalismo sportivo, rivale filosofico degli "italianisti", un talento prestato alle istituzioni

Ghirelli, dalla boxe con Brera a portavoce del Quirinale

Continua il nostro viaggio tra i maestri del giornalismo italiano che hanno scritto le pagine più belle dello sport. Visti da vicino attraverso i ricordi personali di chi li ha avuti come modelli, punti di riferimento, oppure compagni di trasferte o di redazione.

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La definizione di multiforme ingegno calza alla perfezione, come una giacca di sartoria napoletana, sulla sagoma minuta di Antonio Ghirelli, giornalista d'indiscutibile talento nella carta stampata e nella tv, scrittore e molte altre professioni ancora, tutte scandite dal successo e dal riconoscimento postumo di perfetto galantuomo (definizione di Giorgio Napolitano suo compagno di classe in un liceo napoletano) che gli sarebbe piaciuto più di ogni altro attestato. Da sempre è stato un Direttore con la maiuscola come possono testimoniare il debutto a Radio Bologna libera nel '43, e gli ultimi anni alla guida dell'Avanti passando attraverso la guida di due storiche testate sportive, Tuttosport e Corriere dello Sport, e poi il Globo, quotidiano della Confindustria, e il Tg2 ammodernato nella veste grafica oltre che nel taglio giornalistico. Per la sua antica passione socialista, abbracciata subito dopo l'uscita dal Pci in seguito alla rivolta di Budapest, divenne anche portavoce di Sandro Pertini al Quirinale e di Bettino Craxi a palazzo Chigi segnalando anche in questo delicatissimo ruolo il suo stile unico. Nell'80 infatti si dimise da capo ufficio stampa del Presidente della Repubblica per difendere il posto di lavoro di un suo collaboratore, autore di un incidente diplomatico con il premier dell'epoca Francesco Cossiga, svelando il generoso retroscena solo alcuni anni dopo.

Con un carattere così appuntito e animato dalla forte passione per il calcio, Ghirelli ha lasciato impronte vistose anche nel giornalismo sportivo. Con Gino Palumbo, partito dal Mattino di Napoli per approdare al Corriere della Sera, fu il protagonista di un'autentica guerra di religione scatenata dall'altro cavallo di razza, Gianni Brera. I due giornalisti napoletani, definiti polemicamente dal fiero oppositore lombardo quelli della scuola partenopea, negli anni scanditi dalla rivalità tutta milanese tra Rivera e Mazzola, si schierarono dalla parte del milanista, incarnazione vivente del calcio offensivo. Il vate padano, fedele osservante del rito italianista, tutto difesa e contropiede, puntò invece sull'interista. Ne scaturì una baruffa chiozzotta culminata in uno sbrigativo incontro di boxe tra Palumbo e Brera avvenuto nella tribuna stampa di Brescia.

Il battesimo vero e proprio di Ghirelli nello sport avvenne nella fredda Torino con una breve direzione a Tuttosport prima di trasferirsi a Roma al concorrente Corriere dello Sport, guidato prima per pochi mesi e poi per lunghi sette anni anche qui preceduti da un incidente politico. L'editore Rusconi non gradì una prima pagina dedicata al lancio del primo uomo nello spazio, il russo Yuri Gagarin, e ne decise il licenziamento. Appena cambiò la proprietà del quotidiano sportivo romano con l'avvento di Franco Amodei, Ghirelli tornò al comando del quotidiano e diede libero sfogo al suo talento allevando una squadra di veri fuoriclasse composta da Giorgio Tosatti, Giuseppe Pistilli, Cesare Lanza, Ezio De Cesari, Alberto Marchesi, Franco Dominici, Giorgio Bellani. Memorabile, per i giornalisti nati e cresciuti alla sua scuola, la sua abitudine di compilare il mattinale, pubblicato ogni mattina in redazione, una sorta di puntigliosa radiografia del giornale appena uscito in edicola, contenente elogi che luccicavano più di un aumento di stipendio («Alecci, questa terza pagina potrebbe essere esposta al Louvre») o intemerate che toglievano dieci anni di vita («sulla Roma abbiamo preso un buco storico») al cronista malcapitato. Trascinò il giornalismo sportivo dal medioevo all'era moderna, facendo i conti con l'avvento della tv e valorizzando non solo il racconto degli avvenimenti ma anche il dibattito tra opposte opinioni. Fu il primo a rivolgersi al pubblico giovane affidando a Mario Pennacchia la confezione di una pagina settimanale dal titolo forza ragazzi dedicata ai temi di maggiore attualità. E quando ci fu bisogno di utilizzare l'enfasi per presentare una finale mondiale, estate del 1970, non gli mancò la genialata titolando la presentazione così: Pelè, a noi.

Nella voluminosa produzione letteraria, esercitata fino alle soglie dei 90 anni con escursioni anche in politica, due volumi sono la conferma solenne dei suoi amori coltivati dalla spensierata gioventù: la storia del calcio italiano e la storia di Napoli. Quest'ultima, scritta con il disincanto dell'amante tradito, gli procurò persino qualche polemica ingenerosa.

(10. Continua)

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