Il Brasile ha l'espressione calcistica di una tigre di carta. Fa «miao» invece di artigliare la preda messicana che si è dimostrata all'altezza del compito e del tabù rappresentato dall'esito della finale olimpica di due anni prima. Il «Tricolor» ha un calcio organizzato, si muove e si difende in gruppo, si danno tutti una mano e per verificare l'attenzione di Julio Cesar, alla fine tra i migliori dei suoi, sono capaci di prendere la mira dal limite, con Herrera in particolare. Persino Thiago Silva e David Luis, i due tenori della difesa brasiliana, esposti al vento messicano, hanno mostrato fragilità preoccupante. Ochoa, il portiere, è riuscito ad offrire il necessario contributo di sicurezza su un paio di interventi (su Neymar e Paulinho) del primo tempo per galvanizzare i suoi. Ha avuto anche quel pizzico di fortuna indispensabile nei giorni che contano: per esempio sulla capocciata di Thiago Silva, a due passi dalla porta, che gli è finita addosso. È stato allora il Brasile a fare il gambero: invece di fare progressi e cancellare qualche difetto vistoso denunciato nel debutto con la Croazia, è riuscito, se possibile, a compiere passi indietro inquietanti. L'assenza di Hulk, rimpiazzato da Ramirez, nel primo tempo è stato un segnale prudente rivolto a tutta la Seleçao: come dire, state attenti a non concedere campo e contropiede al Messico. Eppure l'esito deludente della prima frazione, ha spinto don Filippo Scolari a correggere lo schieramento, questa volta con Bernard, classe '92, un ragazzo di 22 anni che ha caratteristiche opposte a quelle di Ramirez. È stata la dimostrazione plastica che anche il Ct ha preso navigare a vista: ha cominciato in un modo, poi ha cambiato drasticamente direzione dando fiato alle trombe d'attacco, nessuna traccia di Hernanes che pure ha vocazione e qualità per garantire equilibrio tattico oltre che abilità balistica.
Un tempo col passo felpato, il primo, un tempo a serrare le cadenze come ha puntualmente confermato poi il successivo ingresso del centravanti Jo al posto di Fred, di fatto un birillo in mezzo al campo, neanche una giocata da segnalare. Può darsi che abbia ragione anche il pubblico di Fortaleza che ha stroncato il centravanti titolare ma il vero guaio non è Fred, che pure non è capace di stregare l'occhio, semmai la mancanza assoluta di un gioco che abbia un capo e una coda. È tutto affidato, sempre e soltanto, al talento di Neymar che pure può esaltarsi in qualche assalto feroce. Persino Oscar, che pure al cospetto della Croazia sigillò il successo e diede spessore alla sua prova, è apparso in palese difficoltà, richiamato da Thiago Silva e soci a sostenere con maggiore fedeltà il peso della fase difensiva. Che non può essere assolutamente trascurata. Ma è contro natura che siano i giocatori d'attacco a chiudere i lucchetti della difesa brasiliana.
Così il Brasile, tigre di carta, è riuscito a confermare rispetto alla prima uscita soltanto i difetti invece di eliminarne il più vistoso, cioè l'assenza di un regista capace di dettare i tempi di gioco, di guidare la squadra anche nei periodo morti della sfida. È toccato a Dani Alves, un terzino con lo sprint e la vocazione dell'ala, nella ripresa, offrire una serie di accelerazioni che han prodotto le migliori espressioni offensive dei verde-oro.
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