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Gravina e il becchino di cui non c'era bisogno

Gravina e il becchino di cui non c'era bisogno

B ecchino. Non se ne sentiva il bisogno. Dopo due mesi in cui l'Italia continua a seppellire migliaia di nonni e nonne, padri e madri, fratelli e sorelle. Non si sentiva il bisogno di tirare in ballo, discutendo di calcio e pallone, uno dei lavori che vanno tristemente per la maggiore. Eppure Gabriele Gravina nella sua virulenta maratona di parole che gli fa dire tutto e il contrario di tutto, domenica sera ha sentenziato: «Non posso essere il becchino del calcio italiano». Il presidente della Federcalcio l'ha detto nel momento della pandemia per lui più difficile. A comprendere aiutano altre parole: «Potete immaginare il dramma che sto vivendo nel dover reggere quasi in modo isolato questa mia battaglia». Dunque trattasi di un uomo solo al comando, anche se verrebbe facile storpiare con sbando una frase storica dello sport. Gravina è lasciato solo dal suo mondo: i presidenti in silenzio e spaccati tra favorevoli e contrari a tornare in campo; la «sua» Lega Pro pubblica un documento che mette una pietra sopra alla stagione. E poi quel protocollo medico per la ripresa dell'attività talmente rigido e preciso nella sua scientificità da mettere in dubbio la sua effettiva applicazione. Solo e accerchiato. Perché un giorno su di lui picchia il governo, l'altro il Coni di Malagò. E Gravina si ritrova solo a difendere il calcio che mai come ora vede il baratro perché non ha anticorpi per il virus, ma solo debiti. Costretto a inseguire a tutti i costi una ripartenza per non perdere i diritti tv vitali. Ma il Covid-19 potrebbe trasformarsi in un'occasione. Gravina dice che non vuole decretarne la fine, ma forse passerebbe alla storia come l'uomo di un nuovo inizio. Non certo come il becchino di una creatura già moribonda a prescindere dal virus, leggasi bilanci. Il calcio è lo specchio del paese. Nel mare di soluzioni per la fase 1 su come portare a termine la stagione, non c'è stato un minimo riferimento alla fase 2. Che comprende il ritorno del virus, ma deve soprattutto portare a una rivoluzione che ridia credibilità e solidità al calcio. Per questo servono uomini forti al comando.

Non becchini.

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