Milano Nella notte del «non credo» di Silvio Berlusconi che accende l'ennesimo dibattito sul futuro suo e del suo adorato Milan, c'è un messaggio trasversale che arriva dalle due curve. E sembra indirizzato alla lontana Cina con un paio di striscioni che raccontano della radice milanesissima del tifo di San Siro. D'accordo i nuovi proprietari hanno gli occhi a mandorla ma il cuore del derby batte da queste parti e il senso di appartenenza è ancora una valore. «I pussee bej», siamo i più belli, sostengono gli interisti, «ciapa su baüscia» rispondono i milanisti in questo inedito duello dialettale che sembra voler ricacciare indietro la nuova dittatura asiatica. Sarà il suo ultimo derby? chiedono i cronisti a Silvio Berlusconi ritornato a San Siro per l'occasione e la risposta «Non credo» può voler dire tutto, da presidente onorario non lascio, e il suo contrario, aspettiamo questo benedetto maledetto closing e poi vediamo. E d'altro canto a riscaldare il cuore del presidente provvede proprio la curva più calda e polemica, la sud che regala un mega striscione con raffigurato proprio lui, Berlusconi, in giacca e cravatta, circondato dai suoi 28 trofei, coppe e scudetti, collezionati in trent'anni indimenticabili. «Grazie Presidente» scrivono prima di segnalare la loro nostalgia canaglia condivisa, con un applauso generoso di consenso, dal resto dello stadio rossonero, «credo che un sogno così non ritorni mai più» lo striscione didascalico.
Nella notte del «non credo» proprio in tribuna d'onore Silvio Berlusconi non si stropiccia gli occhi dinanzi alla prima saetta di Suso e anzi, rivolto al fido Michele Persichini, il cuoco di Arcore, fa il segno classico, facendo roteare indice e pollice delle due mani, come per dire «che ti avevo detto?».
Già perché ci vuole una fede incrollabile in quel gruppo di ragazzi usciti all'improvviso dal tunnel cieco degli ultimi mesi, guidati per mano da Montella, oppure una divina ispirazione per indovinare il felice epilogo della prima frazione comandata in lungo e in largo dall'Inter e dal suo palleggio ritmato ma con sbocchi discutibili, un paio per la capoccia di Perisic e uno sbilenco per il piede in ritardo di Icardi. Ci vuole fede oppure occhio calcistico per indovinare, dopo qualche preavviso, il contropiede tagliente come lama di rasoio col quale il cardellino spagnolo mette dietro la lavagna Handanovic e Ansaldi, diventato matto per provare a fermare le piroette di Suso. Proprio lui, il ragazzo di Cadice è uno dei prediletti di Silvio Berlusconi da tempi non sospetti: lo segnalò all'acerbo Filippo Inzaghi prima che quest'ultimo decidesse di farlo entrare una sera ma schierandolo da terzino che non è proprio il suo ruolo preferito. Anche con Mihajlovic non ebbe molta fortuna e nemmeno un pizzico di fiducia se dopo una mezza sfida contro l'Empoli venne spedito in collegio, a Nervi, da Gasperini e dal Grifone, a riguadagnare il credito perduto e la sicurezza in mezzi indovinati dal fido Maiorino. Ispirato prima da Buonaventura e poi da Bacca addirittura, Suso è pronto a ripetersi questa volta col destro che non è proprio il piede preferito per rifilare in buca la seconda palletta di un'altra serata da incorniciare. Come le tante vissute in questi 30 anni che restano tatuati nel cuore del popolo milanista. Nella notte del «non credo» c'è quasi da non credere a quel tocco beffardo di Perisic sull'ultimo assalto interista e soprattutto a quel secondo posto, con la Roma, sul quale si arrampica il Milan di Suso e di Montella, di Bonaventura e Donnmarumma, tutti i ragazzi scelti da Berlusconi e Galliani.
«Il progetto del Milan giovane e italiano continua anche oltre il derby» indovina Galliani mentre il presidente negli spogliatoi si complimenta con Stephen Zhang, figlio del patron nerazzurro, e Pioli alza le braccia al cielo per lo scampato pericolo.
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