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Haiti, dove il pallone corre tra carestie e terremoti

Un paese devastato da violenze, fame e povertà, ma con il calcio dimentica tutto per 90'

Alec Cordolcini

Piccolo è bello nell'edizione 2019 della Gold Cup; dopo l'exploit di Curaçao è arrivato quello di Haiti, che nella notte si è giocato contro il Messico l'accesso alla finale.

I Grenadiers non entravano tra le prime quattro del continente dagli anni '70, il miglior periodo di sempre nella storia di Haiti: vittoria della Gold Cup nel '73, partecipazione al Mondiale l'anno successivo, dove sono ricordati per la sconfitta di misura contro l'Italia (3-1) dopo che lo sconosciuto Emmanuel Sanon (ancora oggi il marcatore all-time della nazionale) aveva portato in vantaggio i suoi e interrotto a 1143 minuti l'imbattibilità di Dino Zoff. Per Haiti fu la prima e unica coppa del mondo. 45 anni dopo, quello che sta costruendo la nazionale guidata dal francese Marc Collat non è meno importante, considerate le avversità che hanno colpito l'isola nell'ultimo ventennio, tra uragani, terremoti (quello del 2010 è stato tra i più devastanti al mondo) e epidemie, il tutto avvenuto in un contesto politico di rara instabilità. A livello calcistico, il terremoto ha distrutto parte delle infrastrutture del paese e provocato vittime, sia tra i giocatori che tra i quadri tecnici federali.

La nazionale tuttavia è rimasta al centro di tutto nella vita degli haitiani, come dichiarato da uno dei veterani dei Grenadiers, Jean-Marc Alexandre: «Per 90 minuti le persone dimenticano tutto: la povertà, le violenze, la fame». Alexandre, che non è presente in questa Gold Cup, nel 2007 ha fondato una scuola calcio nel tentativo di offrire un futuro ai tanti ragazzi che giocano per le strade.

Futuro che significa un biglietto per lasciare l'isola: dei 23 attuali nazionali, solo tre giocano in patria, mentre gli altri sono sparsi in giro per il mondo, dagli USA all'Armenia, dal Belgio all'Azerbaigian fino alla Svezia. «I miei ragazzi arrivano da fuori», ha raccontato Collat, «e ho difficoltà ad allenarli bene. C'è chi perde coincidenze aeree, chi ci raggiunge in altri luoghi, chi si unisce per la partita senza venire in ritiro».

Ma la sfida più importante, quella contro il destino, Haiti l'ha già vinta.

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