Un niente e un battito di cuore. Sembra il titolo di un giallo, di un thriller. Invece è tutto vero. I cecchini olimpici indossano armature pesanti non per proteggersi ma per restare ancor più immobili. E vincono e perdono ori per millimetri e per merito o colpa di un battito di cuore. Lo dice con voce ferma e pacata e calma e bradicardica Niccolò Campriani, sessanta battiti al minuto e un argento al collo. E' così di natura, ma deve esserlo per sport, per allenamento, altrimenti non si trionfa. Perché il tiro dai dieci non punta bersagli umani, bensì disumani, grandi un centimetro, un niente appunto.
Oro perso o argento conquistato?
«Sapete già la risposta... Ma io sono contentissimo lo stesso. In uno sport come questo, dove l'adrenalina è il vero nemico, è andata bene. E' stata la gara più dura che abbia mai fatto, e quando ho sbagliato il primo tiro ho ripensato a Pechino, alla medaglia sfuggita all'ultimo».
Adrenalina.
«Sì, potevo perdere il controllo, sono stato preso dai pensieri negativi, dalle paure. Invece è andata, dai, ho regolato un conto in sospeso da 4 anni
E bravo a Moldoveanu, il romeno, lo conosco, lo stimo, felice per lui, davvero» (terzo l'indiano Narang).
Sincero, la passione per questo sport le è venuta al luna park.
«No, è stato mio padre, tiratore amatoriale. Fu lui a portarmi al poligono la prima volta».
Sport sconosciuto il suo
«Lo so. Però spero che grazie a questa medaglia sempre più giovani lo pratichino. E' bellissimo, ti insegna a gestire le emozioni, i pensieri. E' una grande sfida che poi aiuta nella vita. Anzi, dà un vantaggio rispetto agli altri. Ricordo che alla maturità i compagni erano nel panico, io tranquillo, abituato a gestire le emozioni com'ero».
Di quanto ha sbagliato?
«Due millimetri».
Perché ha sbagliato?
«Nel primo giro il cuore mi batteva troppo forte, non riuscivo a gestirlo con la respirazione giusta. Ho rischiato il panico: dopo essermi qualificato così bene, no, non sarebbe stato neanche giusto. Poi ho forse anticipato troppo nei turni di tiro
Il pubblico non era esperto, applaudiva, faceva rumore, temevo qualcosa al momento dello sparo, così mi sono affrettato».
Il cuore batteva troppo? E' una metafora?
«Non proprio. In questo sport se uno ha un cuore da 60-70 battiti al minuto è in vantaggio. Perché teoricamente dobbiamo sparare fra un battito e l'altro. Sarebbe meglio. Ovvio, poi, che in una finale nessuno abbia simili pulsazioni».
Qui a Londra si va avanti con l'Italia degli sport minori.
«Non credo sia facile per atleti come la Pellegrini, ad esempio, gestire l'attenzione e le pressioni intorno.
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