"Io sono il mio Dio. E poi chi sarebbe Dio? Quando mio fratello è morto, dov’era Dio per salvarlo? È solo un esempio, però io credo nel rispetto e nella disciplina. Se tu mi rispetti io ti rispetto, non mi interessa che fede professi". Zlatan Ibrahimović, intervistato da Vanity Fair sul suo secondo libro Io sono il calcio, si confessa.
"Sono cresciuto in questo modo e i miei genitori non mi hanno mai forzato da una parte o dall’altra. Non sono di quelli che quando fanno un gol ringraziano il cielo. Il portiere che lo subisce cosa dovrebbe fare? C’è un dio che favorisce me e sfavorisce lui? Fa crescere uno e schiaccia un altro?", si chiede ancora l'ex calciatore sevedese, cresciuto in una famiglia con un padre musulmano e una madre cattolica. "Anche perché il calcio è una religione in sé, non ha importanza cosa credi o da dove arrivi. Devi solo giocare a pallone", aggiunge Ibra che, dopo aver vinto tutto in Europa, si è accasato a Los Angeles dove vive con la moglie e i due figli ma non esclude di ritornare al Milan. "Vedremo", dice ma ammette:"Che il Milan mi piaccia non è un segreto. Ci ho passato due anni molto belli e non avrei voluto andarmene ma, come racconto nel libro, mi hanno “forzato” ad andare a Parigi.
Abbiamo vinto, sono diventato capocannoniere, un ottimo club, un’atmosfera fantastica. E c’era la vecchia guardia". E ancora: "Al Milan mi hanno trattato bene: arrivavo da Barcellona dove avevo vissuto la tristezza e a Milano mi hanno restituito il sorriso. Volevo sdebitarmi".
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