Un giovane bianco, un po' bigotto, non la smetteva con le sue tirate razziali. È la storia di un film del 1989. Il titolo diceva: Fai la cosa giusta. Il bianco, però, diceva che Magic Johnson era il suo idolo nel basket e Eddie Murphy nel cinema. E allora qualcuno gli chiede «Ma come? Sono neri». E lui risponde: «Fammi spiegare: sono neri, ma non sono veramente neri. Sono più che neri: è diverso». Il mondo dei «più che neri» oggi ci racconta di icone che hanno lasciato un segno nello sport, nella società: il vero segno della diversità. Nella grande famiglia Michael Jordan si è già trovato un posto da fenomeno, sul parquet e come uomo spot, ma ora incoroniamolo come un pater familias del Black lives Matter (le vite nere contano). Anche. MJ è entrato prepotentemente nel dibattito che ha infiammato il mondo, dopo la morte di George Floyd, ed ha destinato un assegno da 100 milioni di dollari, da distribuire nell'arco di 10 anni, a organizzazioni del Paese che si battono per il raggiungimento di una eguaglianza razziale. «Non stacco solo un assegno - ha sintetizzato -. Sto sfidando ogni persona a provocare un cambiamento in positivo in ogni ambito». Oggi parliamo di Michael Jordan e di quelli come lui. Eppoi ci imbattiamo in Mario Balotelli che non è, e non sarà mai, un «più che nero», ma solo un ragazzo viziato che ha buttato l'ennesima occasione della vita. Balotelli è ancora quello che disse a Moratti: «Sarò io il tuo Ronaldo». Dimenticando che bisogna dimostrarlo. Stavolta ha trovato qualcuno che lo ha trattato come merita: licenziato per giusta causa da Cellino, non proprio un fesso. Ma licenziato anche da una squadra e da una città intera. La pelle scura gli aveva donato una opportunità, eppure mai ha saputo «fare la cosa giusta». E non era un film.
Altro è il mondo che ha lasciato il segno. Sono passati oltre 70 anni da quando Jackie Robinson ruppe la barriera nera nel baseball. E ancor prima, 25 maggio 1935, fu Jesse Owens a regalare 4 record mondiali in 45 minuti, annuncio della sfida contro il pregiudizio razziale vissuta ai Giochi di Berlino 1936: quattro ori fecero impallidire le gerarchie naziste e ci dissero che lo sport abbatte tanti muri. Tommie Smith e John Carlos immortalarono la voglia di Black power con il pugno lanciato nell'aria di Mexico City. Pelè obbligò il mondo a parlare di una Perla nera. Muhammad Alì è stato un nuovo modello di campione per lo sport, linguacciuto, sornione, invadente, e un faro del dissenso. «Nessuno sa smuovere le folle come lui», disse il biografo di Malcom X. Arthur Ashe, grande tennista di colore, fece ricredere chi pensava che le sue racchette non sarebbero state vendute per questioni di razza: l'azienda fece fortuna per oltre 20 anni. Carl Lewis dimostrò che l'atletica poteva far arricchire i suoi campioni. Tiger Woods mostrò che i neri potevano divenire top player degli incassi annuali.
Magic Johnson, oggi 60enne, divenne un simbolo della lotta all'Aids, quando nel 1991, rivelò di essere positivo all'HIV. Infine Lewis Hamilton è stato «più che nero» nel ricco mondo degli sport automobilistici: ha vinto ed incassato come un re.
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