Kakà, Ronaldo, Messi quando gli dei del calcio cadono dagli undici metri

Una maledizione che ha colpito tutti i grandi ma che in due giorni ha steso Real e Barça

Kakà, Ronaldo, Messi  quando gli dei del calcio  cadono dagli undici metri

Al di là del romanticume di De Gregori Francesco e del suo «Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore», non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore, siamo tutti reduci, noi dipendenti dal football, da un uno-due fantastico, tra martedi e mercoledì un quartetto fantastico sul territorio europeo, spagnolo in specie, e nostrano, Cesena per dire, ha regalato il peggio che possa capitare a un campione. Dunque tre palloni d'oro sbagliano rigori decisivi per la cronaca e per la storia, Messi, Ronaldo e Kakà scoprono che è più facile partire per la luna che percorrere undici metri. Al pomeriggio Pirlo ribadisce la sua allergia al sostantivo "dischetto" già manifestatosi in una finale di Champions contro il Liverpool. Roba da matti, pensando a che tipo di piedi costoro hanno e che carriera finora hanno frequentato in ogni dove, vincendo partite e trofei.

Ma questo è il football, per fortuna, l'unico sport nel quale l'ultimo può battere il primo, l'unico sport dove è più facile realizzare un gol in rovesciata da centrocampo, di testa da trenta metri, di spalla fuori area e, nella stessa partita, calciare da solissimi, senza avversari fatta eccezione per il portiere, e mandare il pallone tra i trifogli.

Dicesi caduta degli dei, sempre che qualcuno creda alla divinità calcistica. In verità le due semifinali di Champions soprattutto hanno ribadito che nessuno è imbattibile, nessuna squadra è invincibile, nonostante la propaganda di scienziati e sognatori. Una corrente di pensiero ritiene che Barcellona e Real Madrid abbiamo pagato il conto del loro "clasico" mentre i bavaresi e i londinesi, ormai fuori dal giro dei rispettivi campionati, si sono allenati con la testa e il corpo riposati.
La perfidia aggiunge, tuttavia, che Jupp Heynckes, tedesco di Germania, ha voluto ricordare a Mourinho che quattordici anni orsono fu lui a vincere la Champions con il Real Madrid, in quella squadra c'erano fra gli altri Seedorf e Redondo, Panucci e Roberto Carlos e non ultimo, Aitor Karanka, attuale secondo di Mou. Poche parole e niente arroganza, come Di Matteo contro Guardiola, laddove il campo ha ribaltato il testamento, le sfavorite hanno fatto saltare il banco e i profeti hanno capito, non tutti credo, che il calcio è bello perché è vario.

La letteratura e gli almanacchi ricordano gli errori grossolani di Platini (anche mercoledì in partitella tra amici) e Maradona, Zico e Socrates, Baggio e Di Biagio, Terry e Shevchenko, Costacurta e Graziani, Martin Palermo, Terezeguet e Beckham, cognomi illustri, un repertorio da paura. La chiamano anche la lotteria dei calci di rigore, come se uno acquistasse un biglietto per poi scoprirsi milionario.

La camminata lenta per collocare il pallone sul dischetto, la spolveratina del cerchiolino di gesso, la postura curva scrutando però la porta e il suo inquilino, dentro e dietro quei gesti ci sono emozione, adrenalina, stanchezza, pensieri, calcoli, furbizia, scaramanzia.

Così è accaduto a Leonel Messi, capace di cose mirabili, così si è ripetuto con Cristiano Ronaldo, rigorista perfetto durante i novanta minuti e, improvvisamente, con le gambe di marmo nel momento decisivo. Così con Riccardino Kakà alla ricerca del suo calcio smarrito. Fenomeni fino al millesimo di secondo precedente, poveri cristi nel sospiro successivo. E' il calcio. Ditelo a Peppino e a Giuseppe. Al secolo Pep e Josè.

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