L'atletica da "zero titoli", nascosta dietro 4 bronzi

Gli «adottati» della nuova Italia non salvano un Europeo disastroso: mai così male dal '58

L'atletica da "zero titoli", nascosta dietro 4 bronzi

Perfidi profeti alla vigilia di questa meravigliosa settimana di eurosport: l'Italia dell'atletica che partiva con tante illusioni se ne torna abbastanza delusa perché, come diceva il Re Sole, l'impazienza del successo garantisce la sconfitta.

Sono andati quasi tutti bene a Glasgow, la luce del nuoto, il ciclismo ritrovato, ma a Berlino l'atletica italiana, che dovrebbe essere la spina dorsale di un vero paese sportivo, ha fatto un mezzo disastro, salvata soltanto nel mezzofondo dai ragazzi adottati dall'Africa perché con i campioni dello sport siamo più comprensivi rispetto a quelli che raccolgono pomodori per pochi euro.

Ne avevamo 81 in gara, 11 hanno fatto il record personale, 8 quello stagionale, 30 su 60 sono usciti al primo turno. Non abbiamo preso un oro e questo non accadeva dall'europeo in Svezia nel 1958, anno triste anche per il calcio. Eravamo andati a Berlino sognando di avere i nuovi Mennea e Simeoni. Vallortigara neppure in finale nell'alto, Tortu quinto nei 100 ad un metro dai migliori. Colpa nostra che ragioniamo con la testa dei calciatori quando invece l'atletica è sport crudele dove non inventi nulla se non lo hai nelle gambe.

Certo non è colpa di nessuno se la famiglia norvegese Ingebritsen presenta, allenato dal padre, il fenomeno non ancora diciottenne Jakob vincitore dei 1500 e dei 5000, insieme ai fratelli, Henrik argento sui 5 chilometri. Non possiamo sentirci colpevoli se il signor Borlee presenta tre figli che vincono la 4x400 e il Belgio un fenomeno come la heptatleta Thiam.

Non sapremmo come inventarci l'uomo dell'europeo, il non ancora diciannovenne Armand Mondo Duplantis, svedese nato a Lafayette, in Louisiana, padre americano avvocato e astista da 5.80, madre svedese pallavolista ed heptatleta, per il suo salto a 6.05 nella più grande gara di salta con l'asta, con il ventunenne russo Morgunov a 6 metri e il re spodestato, il francese Lavillenie a 5.95.

Tutte verità, ma adesso vedere i responsabili dell'atletica italiana, più il presidente Giomi che il capo tecnico Elio Locatelli, che sa benissimo come stanno le cose, ripararsi dietro il sesto posto nella classifica a punti grazie ai maratoneti, sembra patetico anche perché siamo a 23 punti dalla Spagna, a 125 dai primi, i britannici, e a 109 dai tedeschi. Discreti nella corsa, nel mezzofondo, non pervenuti o quasi nella velocità e negli ostacoli, assenti o quasi nei lanci a parte la Osakue. Poco davvero, accidenti.

Come soluzione ad un problema enorme, parzialmente risolto con i discreti risultati delle giovanili, si punterà su 30 atleti al massimo per i mondiali a Doha, sperando di averne qualcuno in più ai Giochi di Tokio 2020. Sarebbe tutto giusto se dovessimo credere che l'atletica italiana cercherà almeno di imitare i progetti dei nuotatori, pur sapendo che ci sono più piscine che piste in questo Paese calciocentrico.

Da Berlino escono bene Chiappinelli, Crippa, Rachik e la Palmisano, le nostre medaglie di bronzo, ci danno speranza la siepista Mattuzzi e la discobola Osakue e il decatleta Cairoli, crediamo ancora nel talento di Tamberi, della Vallortigara e di Filippo Tortu, sperando che passi davvero ai 200, di Desalu e la Lukuko. Non sembra molto e ce ne dispiace.

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