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Lautaro, i cambi, il rigore. La "limousine" di Conte è già finita in testacoda

Inter in cortocircuito: il tecnico ci mette la faccia ma come al solito finisce per dare la colpa a tutti

Lautaro, i cambi, il rigore. La "limousine" di Conte è già finita in testacoda

Un anno fa, il 7 luglio come oggi, cominciava ad Appiano Gentile l'era di Antonio Conte, domande contingentate per numero e qualità (quelle sulla Juventus da maneggiare con cura), prime parole da messia, dopo la video-presentazione in limousine per le strade di Milano. Un anno dopo, l'Inter di Conte perde una partita in vantaggio di un uomo e di un gol a mezzo tempo dalla fine e arriva il tempo di pesare e non semplicemente contare i punti fin qui messi insieme dalla sua prima Inter. Che saranno pur sempre il massimo sommato nelle prime 30 giornate dal 2009 in poi, ma al momento fruttano (ormai per un solo punto) una sola posizione in più, di quanto ottenuto dal contestatissimo Spalletti nelle ultime due stagioni.

Antonio Conte, 12 milioni di stipendio netto all'anno (ma contratto firmato in 2 e non estorto con la forza), come già più volte in stagione ha alzato la voce. L'avesse fatto in campo, quando Lukaku ha generosamente concesso al gemello Martinez il rigore che doveva chiudere la partita, forse non sarebbe successo nulla. Invece da bordo campo ha battezzato la scelta dei giocatori, salvo a fine partita censurarla come «questione di spogliatoio». Facile, ma sbagliato. Colpa sua. E non è la sola. Che dire degl'infortuni? Sensi è fermo, rientra Brozovic, si rompe Barella: sarà il caso di rivedere qualche programma.

Poi c'è il capitolo Martinez. Il Toro è palesemente un giocatore in difficoltà, nervoso, sotto pressione: i buonisti ricordano che le sue statistiche di partecipazione al gioco sono positive, ma per un attaccante l'unico numero che conta è quello dei gol e l'argentino ne ha segnato solo 1 nelle ultime 11 partite. Perché farlo giocare dall'inizio anche contro il Bologna? Perché tenere in panchina fino all'85' l'attaccante più in forma (Sanchez)? Forse l'inconfessabile speranza di Conte è rilanciarlo per poterlo vendere bene e fare un mercato (ancora) più suo. Marotta nega: «L'Inter non vende i giocatori forti, Martinez ha 23 anni, queste continue voci chiaramente lo condizionano».

A Dortmund (5 novembre) il primo sfogo di Conte contro la società. Domenica l'ultimo, almeno per ora. In mezzo, frecciate velenose e fastidiose ogni volta che le cose non sono andate come avrebbe voluto. Arbitri, club, giocatori: per Conte è sempre colpa degli altri, meno quando vince 6-0, ché allora pretende di essere lo scudo della squadra, sennò sempre attaccata («spero che i giocatori abbiano l'1% della mia delusione»). Un buontempone.

«Ho preso un pacchetto preconfezionato, con tante situazioni che c'erano e su cui stiamo lavorando»: ha detto dopo la lezione di calcio subita da Mihajlovic. E per quanto la squadra non sia quella che avrebbe voluto, non può negare che Zhang e Marotta abbiamo fatto (quasi) il massimo possibile per accontentarlo. Il grande rimpianto resta Dzeko, che per 20 milioni sarebbe stato dell'Inter. Il club ha preferito per dire - darne 30 di stipendio a Godin, che invece Conte non gradisce. Scelte. Ma un allenatore pagato tantissimo perché ritenuto bravissimo, deve trovare il modo per andare oltre. Conte non ci sta riuscendo. Ancora Marotta, quanto mai mediatore post sconfitta: «Conte è arrabbiato e deve esserlo: pretende di più da se stesso e dalla squadra. In questo momento coesistono due elementi importanti: quello della parte agonistica e quella di un calciomercato che purtroppo avviene in contemporanea».

In tal senso, il compito che aspetta il dg nerazzurro è molto arduo. Tra giocatori in scadenza (Borja Valero, Padelli), giocatori sgraditi (Godin, Vecino, Gagliardini, Ranocchia) e prestiti che non saranno riscattati (Sanchez, Biraghi, Moses) Conte ne cambierebbe una decina. Non sarà così, ma gli avvicendamenti saranno ugualmente tanti.

A questo punto, col visto Champions già conquistato, è ancora possibile un piazzamento dal secondo al quarto posto (ci sarebbe una bella differenza: è dal 2011 che l'Inter non finisce seconda, poi niente meglio che quarta) e soprattutto la piccola grande chance di Europa League.

Grande perché vincerla sarebbe evidentemente un traguardo enorme; piccola perché le possibilità di riuscirci, fatte le premesse sopra esposte, sono davvero poche.

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