Roma È da un paio di partite che, rispondendo a chi gli fa i complimenti per la sua Lazio, Simone Inzaghi ha iniziato a togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Ricordando ad esempio che quest'estate il quotidiano sportivo più autorevole (che per delicatezza non ha nominato) collocava i biancocelesti in quinta fila nell'ipotetica griglia di partenza del campionato, dietro a Fiorentina, Torino e Sampdoria e sullo stesso livello del Genoa. E questo nonostante avessero appena vinto la Supercoppa italiana contro la Juventus.
Ma se molti erano scettici, tra cui una buona parte della tifoseria delusa per le cessioni di Biglia e Keita, un buon motivo c'era. Da quando alla presidenza della Lazio c'è Claudio Lotito la squadra non è mai stata abbastanza attrezzata per competere su tre fronti: in serie A ha ottenuto i suoi migliori risultati (terzo posto nel 2006-07 e nel 2014-15) quando non era impegnata nelle coppe europee, laddove quando lo era ha pagato pegno in campionato: il quarto posto del 2011-12 è l'unica eccezione, accanto a un settimo (2012-13), un ottavo (2015-16), un nono (2013-14), un decimo (2004-05) e due dodicesimi (2004-05 e 2009-10).
La campagna acquisti, oltretutto, non sembrava niente di eccezionale. Perché in effetti non lo è stata, a tutt'oggi: Nani finora è rimasto ai margini, Di Gennaro non si è inserito, Caicedo è un discreto panchinaro, e Marusic - pur utilissimo - non è uno che cambia faccia alla squadra. L'unico vero colpaccio è stato Lucas Leiva, arrivato dal Liverpool con l'etichetta di bollito, e invece giocatore ancora talmente vero da essere - per distacco - il miglior centrocampista centrale del campionato.
È stato lui a non far rimpiangere Biglia ed è stato Luis Alberto a non far rimpiangere Keita, uno che aveva lasciato un vuoto di ben 16 gol. La parabola laziale dello spagnolo è stata influenzata da ragioni tattiche, perché l'anno scorso ha faticato molto come ala sinistra nel 4-3-3 ed ha iniziato la resurrezione quando Inzaghi ha cominciato a difendere a tre e lui è tornato a fare la mezzala o meglio ancora la mezzapunta, ma c'è anche dell'altro. C'è la depressione in cui era caduto e da cui si è risollevato grazie all'aiuto di uno psicologo sportivo, ma c'è soprattutto un percorso che lo accomuna ad altri gioielli della Lazio attuale come Milinkovic-Savic e Felipe Anderson.
Complice un budget tutt'altro che illimitato, il ds Igli Tare ha dovuto specializzarsi nella ricerca di giocatori non affermati, oppure da rilanciare. E per un De Vrij che fin dai primi mesi è sembrato il più bravo nel ruolo dai tempi di Nesta, e per un Immobile che appena tornato in Italia ha ricominciato a segnare a raffica, ci sono altri giocatori con cui invece è servita molta pazienza. Le prime stagioni romane di Felipe Anderson, Milinkovic e Luis Alberto hanno avuto più ombre che luci, ma siccome la Lazio attuale non parte sempre con l'obbligo di vincere c'è stato tempo per aspettarne la maturazione. E ora Lotito, se vorrà, potrà raccogliere i frutti sotto forma di plusvalenze.
Inzaghino, che a sua volta è una scommessa vinta, invece pensa ai trofei. L'anno prossimo potrebbe anche essere altrove (se la Juve si separasse da Allegri penserebbe a lui) e vuole capitalizzare al massimo il finale di stagione.
Il piazzamento Champions è un obiettivo tanto imprevisto quanto ineludibile, la coppa Italia non viene mai snobbata (mercoledì i biancocelesti giocheranno la quarta semifinale in 6 anni) e il sogno è vincere l'Europa League. C'è un problema, però: arrivando in fondo a tutte le competizioni la Lazio giocherebbe, da qui al 20 maggio, 29 partite. È questo l'ostacolo più difficile, ed è su questo che puntano Inter e Roma.
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