L'highlander svedese mette il Diavolo in vetta. E adesso il Milan può sognare in grande

Pioli arriva a 20 risultati utili di fila, l'Inter paga la fragilità difensiva e la mira di Lukaku

L'highlander svedese mette il Diavolo in vetta. E adesso il Milan può sognare in grande

La rinascita del Milan è certificata adesso dal derby di Milano, artigliato dopo una vita di stenti e di sconfitte. L'Inter ha pagato a carissimo prezzo la fragilità del suo trio difensivo e la mira di Lukaku, travolgente da metà campo in avanti, ma sotto porta impreciso come Pancev. Pioli al primo successo in una sfida così, è rimasto al comando della classifica dopo il primo esame di laurea ma non è da scudetto, come qualcuno può ipotizzare, trascinato dall'euforia del 2 a 1 di ieri sera. Ha un leader indiscutibile, Ibra, che si è tolto lo sfizio di firmare altri due gol e di fare il gesto (fate bla bla) indirizzato agli scienziati che eccepivano sulla sua carta d'identità. Ha 39 anni compiuti da poco, il virus battuto velocemente e capacità di trascinare dietro un gruppo che è diventato squadra, finalmente, al culmine di 20 risultati utili consecutivi.

È stato premiato il coraggio di Pioli che ha puntato dritto sull'anello debole di Conte, D'Ambrosio: da quella parte dove ha lanciato Leao che in un paio di strappi ha stroncato il difensore e apparecchiato l'assist per il 2 a 0. Con il coraggio della scelta iniziale, mitigato solo dal cambio della ripresa (Krunic al posto del portoghese), c'è da segnalare anche la tenuta della squadra nelle curve a gomito della sfida. Non ha mai perso la testa come avvenne a febbraio scorso, rimontata dal 2 a 0 al 2 a 4, specie in difesa. E qui, altro dato significativo, in due (Kjaer e Romagnoli al rientro dopo quasi 100 giorni) contro due (Lautaro e Lukaku) per larghi tratti, non hanno avuto paura di perdere i duelli. Il Milan ha ricevuto un contributo decisivo dal tandem di centrocampo, Kessie e Bennacer che hanno preso il sopravvento nel primo tempo e ceduto qualche metro di troppo nella ripresa, oltre a Calhanoglu, la musa riconosciuta del team.

Conte, senza lamentarsi, è rimasto senza sei esponenti e in difesa si è dovuto arrangiare, come già accaduto contro la Fiorentina al debutto. Otto gol subiti in 4 gare sono un fatturato allarmante. Kolarov è stato il deficit conclamato: ha provocato il rigore su Ibra e perso lo svedese sul 2 a 0. Poi c'è stato il ritorno dell'Inter, sarebbe ingeneroso dimenticarlo, e più volte ha rischiato di raggiungere il 2 a 2 non una volta, ma due, tre volte. E fino alla fine con Lukaku che ha mancato il tocco felpato, sotto porta. È stato un derby spettacolare, capace di regalare gol, emozioni, giocate di pregio e grandi errori di mira (anche Krunic ha sbavato il 3 a 1), tradito solo da un arbitro non all'altezza di un appuntamento del genere. E in occasione dell'episodio che avrebbe provocato polemiche velenose (il rigore fischiato a Donnarumma) è stato salvato dal Var.

La ripresa interista, comandata a lungo, ha procurato occasioni solo per Lukaku, Lautaro si è smarrito e Perisic si è liberato una sola volta (suo l'assist per l'1 a 2 a fine primo tempo) di quella mosca tse tse di Calabria. Eriksen, 100 presenze in nazionale, è entrato molle sul prato di San Siro, così come Sanchez. Le occasioni per rimediare sono arrivate: le hanno sprecate. Ed è questo l'autentico rimpianto di Conte e degli interisti.

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