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"L'undici settembre e quel mio fuoricampo per non dimenticare"

Il ct dell'Italia ai prossimi Europei ricorda la prima sfida dopo il crollo delle Torri Gemelle

"L'undici settembre e quel mio fuoricampo per non dimenticare"

Il crollo delle Torri Gemelle l'11 settembre 2001 a New York sconvolse il mondo. La Grande Mela ripartì con un momento simbolico nel passatempo preferito negli Usa: il baseball. Fu un giocatore italoamericano, Mike Piazza, a ridare con un suo fuoricampo il primo sorriso alla città ferita. Oggi quell'uomo è il ct della Nazionale italiana di baseball che domenica debutterà agli Europei in Piemonte. Vent'anni dopo, i due momenti sono vissuti in modo particolare dalla leggenda dei diamanti. «Sono sempre onorato e lusingato. Ricorderò tutta la vita quel fuoricampo».

Piazza, com'era l'atmosfera quel 21 settembre 2001 allo Shea Stadium per la prima volta riaperto dopo la tragedia?

«Non si può descrivere il dolore di quei giorni. Anche se ricordo l'eccitazione davvero grande di quella notte, non posso dimenticare la sofferenza. Io abitavo non lontano da Ground Zero. Non è facile guardare indietro».

Cosa ricorda di quella partita?

«Io sono molto religioso e quella notte ricordo di aver guardato in alto e di aver pregato Dio, dicendo: Signore, per favore dammi la forza di superare questo momento, perché non so se posso. È incredibile, quando sei nel posto giusto e al momento giusto, e credi in te stesso e hai un sacco di gente che fa il tifo per te, e lo senti, eccome se lo senti... La gente voleva solo tifare, tifare per qualcosa. E provare a tornare alla normalità».

Molti l'hanno considerata un eroe. Lei come si considera?

«È una parola forte. I veri eroi sono stati i pompieri, i poliziotti e tutti quelli che hanno salvato delle vite umane. Quello che ci ha fatto superare quel periodo è stato l'amore delle persone. Quell'immane vicenda mi ha cambiato perché ha davvero ridato priorità alle cose importanti della vita».

Da quella vicenda alla tranquillità italiana.

«Inizio quest'avventura da ct dell'Italia non solo per vincere, ma per lasciare un'impronta. Bisogna avere pazienza, non si fa tutto subito. Solo lavorando assieme possiamo crescere».

Perché dopo aver guadagnato milioni di dollari negli Usa ha scelto di venire qui?

«Perché sognavo di allenare nel Paese da cui i miei nonni siciliani sono partiti per gli Stati Uniti. Quando nel 2006 ho deciso di vestire la casacca azzurra ho reso felice mio papà Vince. Prima di iniziare però...».

Prego.

«Andrò al Citi Field di New York perché i miei Mets giocheranno contro gli Yankees un match speciale nel 20° anniversario dell'11 settembre. Sarà un giorno molto emozionante per me, per tutta l'America. Vent'anni dopo siamo dispiaciuti per quanto sta succedendo in Afghanistan. Da americano penso che siamo andati lì con le migliori intenzioni per aiutare gli afghani a creare un paese democratico. Sono triste al pensiero di quei soldati che sono morti. Spero che, come nazione, abbiamo imparato da questo e continuiamo a diffondere la libertà in tutto il mondo. L'11 settembre dovrà servire alle generazioni future per riflettere sulle atrocità del terrorismo. Sappiamo quanto può essere pericoloso.

Lo abbiamo visto».

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