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L'uomo che ha fatto 30 mondiali di fila

Archetti: "Iniziai nel '91 con Bugno". È il tecnico che fa "ingranare" gli azzurri

L'uomo che ha fatto 30 mondiali di fila

Una vita in equilibrio precario, spesso esposto fuori dal finestrino, eppure è una certezza. Lui c'è, da trent'anni. È un punto di riferimento, un terminale sul quale fare sempre riferimento. È l'uomo che aggiusta, monta e smonta, sostituisce, ascolta e consiglia: è Giuseppe Archetti.

È il meccanico di tutti, nel senso che dal 1991, anno in cui il leggendario Alfredo Martini lo chiamò in nazionale, sistema le biciclette dei corridori più forti della nostra Patria in bicicletta. L'uomo che non conosce il tempo, perché fin quando non ha terminato di sistemare anche l'ultima sfera non va a riposare. Ed è quello che fa il trapezista restando fuori dal finestrino e ti sistema il cambio in piena corsa. In verità non è l'unico che riesce a farlo, ma lui lo fa da più tempo e dicono che lo faccia meglio di tutti.

Bresciano classe 1966 è sposato con Raffaella e padre di Giovanni, Alexia e Martina. Dal 1989, dopo una discreta carriera da ciclista nelle giovanili, eccolo armeggiare attorno a quel cavallo alato: ha solo 23 anni «Ho corso fino ai dilettanti, ho vinto qualche gara, ma non era il mio mestiere. Poi un caro amico, Luciano Bracchi, mi fece cominciare alla Carrera. Cercavano un ragazzo, e io non mi feci pregare. È passata una vita e non me ne sono nemmeno accorto. La mia fregatura? La passione».

Mai un momento di cedimento?

«Diversi, tutti per la famiglia. La lontananza si fa sentire, quando è nata Martina, la più piccina, la cosa è maledettamente peggiorata».

L'esordio in azzurro nel 1991, mondiale di Stoccarda.

«E vince Gianni Bugno. Un ragazzo fantastico, un corridore incredibile: solo lui non sapeva quanto fosse forte».

La chiamò Alfredo Martini.

«Una leggenda, gli davo del lei, quando parlava restavo incantato. Una persona pazzesca, dal quale si poteva solo imparare. Era un concentrato di buonsenso e garbo: eleganza».

Un lavoro che lo si impara guardando

«È così. Il mio maestro è stato Piero Piazzalunga, un artista della bicicletta. Andavo a Bergamo nel suo atelier e lo studiavo, lo riempivo di domande: lui è stato per me un grande maestro».

Torniamo ai mondiali: il momento più difficile?

«Oslo, il primo mondiale in ammiraglia, quello vinto da un giovanissimo Lance Armstrong. Pioggia tutto il giorno, strada viscida, corridori che cadono da tutte le parti. Penso tra me e me: qui non ne esco. Un battesimo pazzesco, ma me la sono cavata. E sono ancora qui».

Il momento più esaltante?

«Due, con lo stesso corridore: Paolo Bettini. Prima Atene, con l'oro olimpico. Poi il mondiale di Salisburgo (2006): da pelle d'oca».

Il momento più brutto?

«La morte di Franco Ballerini: un dolore indescrivibile. Poi quando è mancato Alfredo Martini».

Il momento più amaro

«Un anno fa, al mondiale dello Yorkshire: sembrava fatta per Trentin, poi la beffa quando stavamo già pregustando il trionfo. Non l'ho ancora digerito».

Il momento più adrenalinico.

«Varese 2008, la strepitosa vittoria di Alessandro Ballan: da cardiopalma».

La festa più festa di tutte.

«Quindi il momento più glamour: dopo la vittoria di Zolder con Mario (Cipollini). Quella spedizione è stata pazzesca per il clima che si respirava in squadra e il dopo è stato indimenticabile. Di Mario, bisogna dirlo, ce ne sono pochi».

Il momento più magico, quello che è restato lì.

«Stoccarda, 1991: Gianni Bugno. Un sogno, che di tanto in tanto ritorna e resta in equilibrio sul cuore».

Un po' come Giuseppe Archetti.

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