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L'urlo di Montezemolo. "La F1 è come il calcio. Si sceglie solo il meglio"

L'ex presidente: "Non si guarda il passaporto. Binotto è un uomo troppo solo al comando"

L'urlo di Montezemolo. "La F1 è come il calcio. Si sceglie solo il meglio"

«Se fossi ancora in Ferrari, in questi giorni sentireste tremare i muri di Maranello». La crisi del Cavallino vista con gli occhi di chi da quelle parti ha contribuito a conquistare 19 titoli mondiali, è anche questa. Un'urlata da far tremare i muri. E chi conosce Luca di Montezemolo sa che racconta la verità perché nei suoi anni da presidente, dal 1991 al 2014, non sono tremati solo quelli. È almeno da una settimana che l'ex numero uno vorrebbe dire la sua, indicare le responsabilità, ma anche le vie d'uscita. «È facile sparare sulla Ferrari, ma la Ferrari, dopo la mia famiglia, rappresenta la cosa più importante della mia vita e voglio essere costruttivo e non distruttivo. Però la situazione è complicata, molto complicata».

Siamo collegati con Radio Rai, Emilio Mancuso ci ha invitati alla «Politica nel pallone» per fare un po' di domande al presidente. Montezemolo prima di tutto si prende le sue responsabilità: «Io sbagliai nel 2014 ad accettare il passaggio ai motori ibridi. Sottovalutammo il fatto che la Mercedes li stava studiando da due anni e soprattutto che l'industria tedesca aveva una cultura sull'argomento che in Italia era ancora sconosciuta. Siamo stati noi con LaFerrari i primi a produrre una vettura ibrida. Ma dopo un anno buio eravamo già competitivi Purtroppo dal 2014 la Ferrari non è più stata in corsa per il mondiale. Quando mi sostituirono mi dissero che non contava avere i bilanci positivi, bisognava vincere in pista Almeno ai miei tempi quando non vincevamo, restavamo in lotta fino all'ultima gara. Tante volte abbiamo perso proprio alla fine. Con Michael, ma anche con Irvine, Massa e due volte con Alonso».

Ed eccoci al 2014, l'origine dei mali secondo l'ex presidente. Montezemolo fu praticamente cacciato in diretta tv da Sergio Marchionne dopo il Gran premio d'Italia. «Il problema di oggi nasce innanzitutto dall'organizzazione. La Ferrari ce l'ha totalmente diversa dalle altre squadre. Mattia Binotto è troppo solo. Non ci sono altre squadre organizzate così. Binotto che è un giovane alle prime armi come direttore tecnico, è responsabile della gestione sportiva, della gestione piloti, dell'area tecnica e deve occuparsi anche della politica. Ai miei tempi io avevo costruito una squadra con il meglio del meglio. C'erano Jean Todt, Ross Brawn, Rory Byrne, Paolo Martinelli, Stefano Domenicali la Formula 1 è come il grande calcio internazionale, non si guardano i passaporti, per vincere si deve cercare il meglio e poi far crescere gli uomini che ci sono all'interno. In Ferrari negli ultimi tempi i talenti li hanno fatti andare via. Prima Allison, poi Sassi, tutti finiti alla Mercedes».

Va bene presidente, ma ci dica di chi è la colpa? Montezemolo signorilmente non cita mai Sergio Marchionne che non è più tra noi per difendersi. Ma quello che dice è chiaro: «Un po' per ansia di vincere, un po' per inesperienza sono stati commessi degli errori. È sbagliato pensare di fare tutto in casa. La Formula 1 non si gestisce come un'azienda quotata in Borsa o come una grande realtà industriale». «Sono molto preoccupato perché non sarà facile uscire da questa situazione anche perché bisognerebbe già lavorare sul 2022 quando cambierà tutto». Ma che fare adesso? Come intervenire? «I piloti non sono un problema, anche se io non avrei congedato Vettel con tanto anticipo mettendo tutta la pressione su Leclerc. È eccessivo parlare di rifondazione, ma questa organizzazione non va bene per la Formula 1 di oggi. Vedo difficile sviluppare la macchina e pensare al futuro, anche perché non bastano un musetto e un ala a cambiare la competitività di quest'auto. Credo sia necessario prendere la situazione per le corna, fare delle scelte coraggiose e farle rapidamente». I tifosi si meritano un'altra Ferrari. Montezemolo lo sa.

Anche perché lui è ancora il primo a tifare.

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