Nel finale valenciano di un bel mondiale purtroppo taroccato dalle gomme di burro di Phillip Island, dal conseguente Gp con i pit stop tipo F1 perché i polimeri non duravano abbastanza, dalla conseguente sciocchezza commessa dal box Honda e da Marquez con la sosta ritardata e soprattutto dai giudici che hanno per questo squalificato il ragazzo cogliendo occasione ghiotta per tenere aperto un mondiale che si stava chiudendo, ecco, in questo finale inquinato si assiste a una meravigliosa novità: per la prima volta ci sono due piloti che nel rush per il titolo non hanno nulla da perdere. Perché prodigio Marquez è talmente extraterrestre e giovane, 20 anni, che anche non dovesse vincere il titolo eguagliando il primato di Kenny Roberts, anno 1978, in fondo avrebbe comunque vinto: perché nessuno si sarebbe mai aspettato una stagione d'esordio così tremendamente al vertice. E perché, dovesse perderlo all'ultimo, resterebbe in lui e nella Honda e in tutti la consapevolezza che senza dei giudici troppo solerti e duri nel punirlo in Australia anche questo strepitoso Lorenzo non avrebbe avuto chance per riagganciarlo. Domani, al ragazzino, per essere campione, basterà un quarto posto. Cosa parecchio alla portata visto che fin qui ha sempre chiuso primo (6 volte), secondo (6 volte) e terzo (3 volte) e gli unici 0 sono stati causati dal ritiro del Mugello e la squalifica di Phillip Island. Fatto sta, con il suo tesoretto di 13 punti su Lorenzo, Marquez, pur emozionato in questa vigilia, ripete «di calcoli non ne faccio, sono al 100%, lotterò per vincere». Ieri ha segnato il miglior crono davanti al compagno Pedrosa (+0.066) e a Jorge (+ 0.158) dal quale ha incassato con una scrollata di testa la toccatina di gomma subita dal rivale durante le prove di partenza. Chiamiamole intimidazioni fra campioni.
Quanto a Lorenzo, anche lui non ha nulla da perdere. Perché visto come si erano messe le cose doveva essere un campionato strachiuso da un pezzo. Vuoi per i due botti che a inizio estate avevano maciullato la clavicola del maiorchino e vuoi perché la Yamaha quest'anno è stata manifestatamente inferiore alla Honda. Infatti Jorge dice: «Anche io sono al 100% e sono stato bravo a non mollare mai». E ha ragioni da vendere. La caduta nelle libere di Assen a fine giugno, la frattura, il viaggio nella notte a Barcellona per operarsi e inserire placche e chiodi, il ritorno in Olanda, l'incredibile partecipazione al Gp, le sofferenze, gli 11 punti conquistati piangendo. E ancora. La gara dopo, in Germania, un'altra caduta in prova, stessa spalla, placca piegata, Gp saltato, ancora operato e via, 10 punti conquistati nella corsa successiva in America. Basta far di conto: sono 22 punti di sofferenza e coraggio senza i quali Marquez sarebbe già campione.
Da non perdere anche il primo e unico Gp della stagione dove piloti e team del motomondo imiteranno i colleghi a quattro ruote della F1. Ci saranno infatti giochi di squadra. Quello di Pedrosa in casa Honda, quello di Valentino in casa Yamaha. Vale l'ha detto chiaro e tondo. Ma fra i due rivali per l'iride quello messo meglio è Marquez. Perché Pedrosa ha dimostrato per tutta la stagione di essere e poter essere stabilmente fra i primi. Vale no. Problemi di messa a punto ha cominciato a dire ad un certo punto. Come se quel pizzico in più necessario per essere al top non arrivasse mai. Per questo Vale, proprio a Valencia, ha ufficializzato il divorzio, dopo quasi 14 anni, da Jeremy Burgess, il suo storico capo tecnico. «Come un padre in pista» ha detto Rossi, «ma gli ho spiegato e ha capito».
Ha compreso che Vale si sta giocando l'ultima carta, che vuole capire se è proprio lui a non avere più quel qualcosa che serve a questi livelli o c'entra invece la messa a punto.Decisione sofferta. Decisione crudele. Sperando non sia crudele anche la risposta che verrà. L'anno prossimo.
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