Una medaglia da guardare meglio. Con più attenzione. Dopo aver letto le parole di questo ragazzo, dopo aver ascoltato le sue confidenze, dopo aver provato a immaginare quali piccole e grandi frustrazioni debba aver vissuto in tanti anni. Anni spesi all'ombra. Preparandosi, però. Allenandosi, però. Soprattutto soffrendo. E allora fateci caso, riguardate quella medaglia nelle foto e in tv: non è d'argento come dicono, è tutta d'oro. Oro che vale più di quello che luccica al collo dell'ungherese Szilagyi che l'ha sconfitto; oro ben più vero di quello con cui vengono ogni quattro anni spolverati e costruiti questi dischi preziosi. Perché quello di Diego Occhiuzzi, trentunenne due volte azzurro, perché della scherma nazionale e perché cresciuto a Napoli, quartiere del Vomero, «palestra Champ, ditelo, scrivetelo», è l'argento della liberazione di un atleta cresciuto all'ombra dei big, dei Tarantino, soprattutto degli Aldo Montano belli, bravi, buoni, glamour e tutti i riflettori sono per loro. Già, Aldo Montano. In un derby che sa un po' di fiaba, l'atleta cresciuto nell'ombra ha spostato un poco a lato il monumento che l'oscurava, l'ha battuto negli ottavi e subito dopo ha allungato la sciabola, ha fatto così a destra e sinistra, si è sporto, e idealmente ha come urlato: ehilà gente, visto? Ci sono io.
Lo dirà veramente, dopo la premiazione. «Guardatemi, adesso sapete che ci sono. Ho vissuto per così tanto tempo nell'ombra di Aldo, di Gigi, che non avete idea che cosa significhi
Non è stato facile». Ombra di amici, puntualizza; ombra di compagni, sottolinea. Però sempre ombra. «Tranquilli, siamo uniti, daremo tutto nella gara a squadre
e mi dispiace davvero per Aldo, ma sono tanto tanto felice per me
Vorrà dire che ci rifaremo insieme».
Parole che sanno di liberazione e al tempo stesso di incredulità divisa a metà tra felicità e timore di aver fatto uno sgarbo troppo grosso a quei due capisquadra. D'altra parte come dimenticarlo, impossibile scordarlo: la squadra prima di tutto. Era Pechino, l'Olimpiade in cui chiuse ventitreesimo nell'individuale; erano quattro anni fa, era la semifinale che portò poi al bronzo a tre. Combinò pasticci Diego, la battuta che circolò fu «bronzo nonostante lui». Ecco. Nonostante lui si è preso ieri la sua rivincita e ora dice «questo argento è tutto mio». Come tutta sua è la gioia e la fierezza di essere napoletano, di aver spostato il baricentro dell'attenzione da Livorno al Vesuvio. «Ma avete visto che roba, il pubblico, il tifo, mi sembrava di essere al San Paolo
Invece è Londra, l'Olimpiade, è un sogno inaspettato
». Ci pensa, si corregge, «no, è solo in parte inaspettato, ci ho lavorato tutta la vita, solo che stamane, quando mi sono vestito e riscaldato, ho sentito subito che tutto, ecco, inaspettatamente, mi veniva bene».
E' stato in quel momento che ha cominciato a sognare. Ha pensato: se in gara mi verrà tutto così, è la volta buona. Lo è stata. Avanti, senza fermarsi, avanti uscendo dall'ombra Montano, battendola, Montano che dirà solo «ho sbagliato a lasciarlo andare, a lasciargli diverse stoccate, ero troppo concentrato a prevedere gli attacchi». Avanti con il suo stile guascone, a volte irritante, un festival di interruzioni volute, di moviole richieste. Avanti fino alla finale «che se avessi cominciato a fare come so un po' prima non avrebbe preso quel vantaggio, non avrei perso 15 a 8. Però va bene così».
Va bene perché luccica d'oro quell'argento.
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