Sarà il Festival dei campioni. Non soltanto Ibra a tutto campo, ma anche altri grandi sportivi prestati al mondo dello spettacolo. Oggi fa notizia, nei primi Anni Ottanta fece scalpore quando Marco Lucchinelli, fresco campione del mondo di motociclismo, arrivò all'Ariston per cantare la sua Stella Fortuna. Sì, cantare, non in gara ma nemmeno per scherzo; il suo primo 45 giri era una cosa seria, tanto che la EMI, la casa discografica che lo produsse, portò Lucky a Sanremo, ospite tra grandi ospiti.
Quest'anno sono 40 anni dalla vittoria del titolo mondiale 500. Subito dopo arrivò l'invito a Sanremo. Come ricorda quel Festival?
«Fu molto emozionante. Ero ancora in piena euforia per il titolo mondiale, avevo nella testa un futuro con la Honda che tornava alle corse e Sanremo era qualcosa di speciale perché nessuno sportivo ci era andato prima di me. L'atmosfera era molto rock and roll, furono emozioni forti. Tra gli ospiti c'era gente come Celentano e Johnny Halliday, dei miti. Feci amicizia con Bobby Solo, un personaggio da film che poi venne al mio matrimonio a cantare Una lacrima sul viso».
Sul palco sarà stato più teso che sulla linea di partenza...
«Dopo avere cantato tornai subito in albergo e da lì chiamai Paolo Cioci, il mio meccanico, per chiedergli come ero andato; lui, in dialetto, mi rispose: Non ti ho visto, ero dietro al divano. Non aveva avuto il coraggio di guardare, temeva il peggio».
Invece andò bene.
«Molto. La EMI vendette così bene il mio 45 giri da pensare di ristamparlo. Però c'era da scegliere tra il mio brano e quello degli America. Alla fine optarono per gli America. Non ci rimasi male... con loro avevo passato una serata da fuori di testa».
Come nacque l'idea di Sanremo?
«Un amico parlò alla EMI della mia passione per la musica, vollero incontrarmi, videro che sapevo cantare, che c'era una storia da raccontare e mi portarono al Festival per promuoverlo».
Stella fortuna esiste davvero.
«Mi apparve in una notte d'inverno e d'inferno. La neve aveva coperto l'autostrada tra Liguria ed Emilia. Il traffico era bloccato. Nell'attesa, vissi una notte di freddo e sigarette. Poi, tutto a un tratto, si aprì un cielo di stelle, ne vidi una cadere e le affidai il sogno di vincere il titolo mondiale. La stella diventò il mio simbolo. Era il 1980 e avrei corso con la Suzuki ufficiale; finalmente, dopo tante illusioni e delusioni, avevo la moto e la squadra per vincere. Purtroppo ebbi qualche problema di troppo; in campionato finii terzo».
Ma arrivò la prima vittoria. All'ultimo GP. E la conferma.
«Eravamo in Germania, faceva un gran freddo. Prima di infilare la tuta misi la camicia e anche la giacca a cui avevo tagliato le maniche e la cravatta. Portarono bene. Indossai camicia e cravatta sotto la tuta anche nel 1981».
La sua stagione magica.
«Magica perché andò a finire bene. Ci sono state altre stagioni in cui sono andato altrettanto forte ma senza ottenere quei risultati. Nel 1981 è successo quello che dovrebbe accadere sempre e io invece ho provato solo poche volte: è così che si dovrebbe correre, con una moto e una squadra che conosci, che lavorano bene. Quando mi vedo adesso in qualche filmato dell'epoca, mi dico che andavo proprio forte. E avevo stile».
Diventò una star.
«Forse perché dopo Giacomo Agostini, avevano scoperto che anche uno normale poteva vincere il mondiale, uno che a fine gara saliva sul podio con la sigaretta. Oggi sono tutti salutisti e soprattutto sono tutti uguali, con le cuffiette nelle orecchie e gli occhiali scuri. Le eccezioni sono rare: Valentino Rossi ha fatto la differenza, cambiando il modo di correre e di festeggiare nel dopogara; Marquez ha cambiato il modo di guidare. Te li ricordi perché hanno vinto ma anche perché lo hanno fatto in modo diverso».
Lei piaceva anche per la sua vita spericolata.
«Di me si parlava anche se non vincevo perché mi infilavo spesso in qualche casino, c'era sempre qualcosa da raccontare. Però ero veloce. Nel 1976, quando corsi il primo GP, in Francia, mi presentai in circuito senza nemmeno sapere se mi avrebbero ammesso alle prequalifiche. E invece salii sul podio, terzo. Dopo le prove venne da me Barry Sheene, il mito, che arrivava in circuito in Rolls Royce, e mi disse: Come diavolo hai fatto ad andare così forte? Hai l'aria di uno che è entrato in circuito senza pagare il biglietto. Saremmo diventati grandi amici».
Vita spericolata e Vasco Rossi.
«Nell'82, quando andai a Sanremo, c'era Vasco in gara con Vado al massimo e già sul titolo eravamo in sintonia, l'anno dopo scrisse Vita spericolata e anche lì... Arrivò ultimo, ma oggi tutti ricordano lui. Ci incontrammo poco tempo dopo con la complicità de L'Intrepido, che ci chiamò per fare un articolo su di noi. Su quel tema».
C'è stato un momento in cui ha esagerato.
«Mi sono fatto male da solo, con la cocaina. Una dipendenza. Vennero ad arrestarmi all'alba del giorno di apertura del Motor Show. Seguirono momenti durissimi, nei quali però ho scoperto di avere amici veri, penso ai fratelli Castiglioni, proprietari della Cagiva e Virginio Ferrari, con cui c'era stato affetto ma anche grande rivalità in pista».
La musica l'ha fatta rinascere?
«Mi piace cantare e scrivere di motori: le sigle di Studio MotoGP, il programma di TV8 a cui ho partecipato in questi anni, sono mie; la musica è una passione per la quale avrei dovuto studiare, ma sono un istintivo, mi piaceva soprattutto esibirmi in pubblico, con la mia band, di cui fanno parte musicisti che hanno lavorato o lavorano con Vasco Rossi. Ho smesso dopo la morte di mio figlio Cristiano in un incidente stradale (era il 2017). Da allora non ho più fatto niente, non avevo più energia, ma adesso mi è tornata la voglia».
Guarderà il Festival?
«Lo guarderò sì. Quest'anno già il fatto che si faccia, senza pubblico, con tutto chiuso, è motivo di polemica».
Quarant'anni dopo quel magico
1981 ci va ancora in pista?«Ci vado sì. Ho una scuola guida: Lucchinelli Experience, organizziamo corsi di guida sul circuito di Adria. Aiuto gli altri ad andare più forte. E mi piace; chi lo avrebbe mai detto?».
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