C'è un filmato che da qualche settimana sta facendo il giro del web, soprattutto in Spagna e in Argentina. Cattura un insaziabile Diego Simeone che grida ai suoi ragazzi «uno màs, uno màs». L'Atletico ha appena messo a segno il 3 a 0 al Valencia con Diego Costa su rigore. Mancano otto minuti alla fine della gara, ma il tecnico non vuole sentire ragioni e chiede alla squadra di infierire sull'avversario. Un'immagine che in qualche modo il Milan dovrebbe custodire come un "post-it", se non altro per sfatare il mito dell'avversario quasi abbordabile preservato dall'urna di Nyon. Diego Simeone è famelico, ha appena vinto il premio di miglior tecnico della Liga e il suo Atletico si è messo di traverso allo strapotere di Real e Barcellona. «El Cholo de barrio», «el del cuchillo», come lo chiamano amabilmente e con rispetto dalle parti di Buenos Aires, è un fiume in piena. Non ha perso la verve del ribelle, «dame un rebelde que tiene fuego», ammette senza troppi convenevoli.
Perché lei è alla ricerca di giocatori ribelli?
«Perché in campo ci mettono tutto, compresa l'anima. É una questione caratteriale».
Mario Balotelli è un ribelle?
«A modo suo lo è. Leggo che il Milan vorrebbe venderlo. Meglio per noi quando li affronteremo in Champions».
Lo considera così forte?
«Datemelo in squadra e vi faccio vedere cosa significa avere il fuoco nell'anima».
Milan spacciato contro di voi?
«I rossoneri rappresentano la storia del calcio. Ce la giochiamo alla pari. Non voglio sbilanciarmi. Allegri? Bravissimo allenatore. Vorrei vedere altri a saper gestire come lui un gruppo di campioni».
Anche l'Atletico Madrid non è da meno. Ormai non siete più una sorpresa.
«Però a volte trovo ingiusto che si parli solo di Diego Costa. É un grandissimo attaccante, ma alla fine è il gruppo che si sta imponendo. Non ho inventato nulla di nuovo, semmai li tengo sulla corda. Devono capire che con me non esistono titolari. In settimana si sudano il posto in squadra».
Se dovesse scegliere però un giocatore, per chi spenderebbe una parola in più?
«Koke, diventerà in poco tempo tra i dieci calciatori più forti al mondo. Lo stanno cercando tutti».
Non sarà mai da Pallone d'Oro come il suo connazionale Messi.
«Il mio cuore batte per Leo, ma quest'anno opterei per un ex equo: Messi, Cristiano e Ribery. Se lo meritano tutti e tre».
Messi nel suo cuore, così come la nazionale argentina. Le piacerebbe un giorno allenarla?
«Sono ancora giovane, mi ritirerò non prima di aver compiuto i 65 anni. E poi Sabella sta lavorando bene. Se ci fosse una situazione d'emergenza allenerei l'Argentina senza però mollare l'Atletico».
Senza fare un pensierino all'Inter? Il suo nome è stato spesso accostato a quella panchina.
«Sarebbe un onore. Per ora ne hanno parlato soltanto i giornali. Mi vedo per parecchio tempo all'Atletico Madrid. Qualcuno dice che potrei diventare il Ferguson dei colchoneros. Quell'uomo è stato il calcio».
Più di Mourinho?
«C'è una differenza di età notevole. Vedremo cosa accadrà nel tempo. Mourinho ha carisma. L'ho visto allenare l'Inter per una settimana intera ad Appiano Gentile e mi ha impressionato molto».
Sulla panchina dell'Argentina c'è invece Alejandro Sabella. É una garanzia per salire sul tetto del mondo in Brasile?
«Se Sabella indovina le alchimie vinciamo noi. Nessuno ha un organico migliore del nostro. Gli altri? Potrebbe saltare fuori qualche sorpresa, ma come sempre nei primi turni. Alla fine, è logico, verranno fuori Italia, Brasile e Germania».
Lei è nerazzurro di seconda pelle, fin dall'inizio, quando arrivò giovanissimo a Pisa. Qualche ricordo?
«Moltissimi. Vado ancora ogni tanto al mare a Marina di Pisa per salutare vecchi amici. Nel Pisa di Lucescu il gruppo era ottimo. Ricordo gente come Chamot, Cuoghi, il povero Andrea Fortunato. Il dottor Anconetani poi era un grande intenditore di pallone».
Siamo con un piede nel 2014. Che cosa si augura?
«Potrei rispondere, vincere la Liga. Sarebbe stupido non pensarci, soprattutto alla luce della classifica.
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