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"Il mondiale più bello e quella fake news su me e Paolo Rossi"

Per Brera era "il bell'Antonio", per il Paese intero un simbolo. Oggi 40 anni fa la sua Italia-Brasile

"Il mondiale più bello e quella fake news su me e Paolo Rossi"

Quaranta anni oggi, 5 luglio 1982. Italia-Brasile divenne una magia: per il cuore e per il credo. Viverla e riviverla è tutt'uno. Antonio Cabrini, detto "Brerariamente" bell'Antonio, era uno di quelli con la bacchetta magica fra i piedi e si sta godendo il come eravamo: interviste, interventi, tv. «Quel Brasile era la squadra più forte del mondo. Ma noi sapevamo di essere forti, consapevoli della forza del gruppo nonostante partite iniziali non proprio ad alto livello: poi ci fu l'Argentina. Il Brasile è stata una sorta di continuità del momento felice». Ora il nostro naviga verso la soglia dei 65 anni, ha scritto libri, è responsabile delle Legends (azzurre), è uno stakanovista del padel. «Una specie di droga».

Scrissero i giornali: Il Brasile siamo noi

«Il Brasile siamo noi? Quella fu una partita in cui giocammo meglio di loro, con più intelligenza. Dovevamo vincere, a loro bastava un pari. Eravamo squadre diverse: noi più strutturati».

Eravate più forti rispetto alla nazionale di Argentina '78?

«In Argentina avevamo una squadra più potente. Qui eravamo più cinici. Con l'orgoglio e la volontà di portare a casa la vittoria. Quella del '78 era una grandissima nazionale. Ce ne siamo resi conto dopo e abbiamo fatto tesoro».

Spagna '82 vissuta tra polemiche iniziali e silenzio stampa

«Una scelta valutata e ponderata. Vissuta con serenità. Le polemiche ci hanno indotto al silenzio. Per non leggere più sui giornali parole nostre: a quel punto potevano solo inventare».

E le insinuazioni sui legami Cabrini-Rossi?

«Battuta infelice di un giornalista italiano. Non voleva creare quel caso, poteva restare una battuta se non fosse stata ripresa in modo sbagliato: all'estero e in Italia».

Visto Bearzot allora, ne ha visti altri nel calcio?

«No, direi difficile replicarlo. Non era solo un tecnico: era un trascinatore, padre più che allenatore. Bisogna essere predisposti al lavoro col gruppo per renderlo un blocco e sapere che quel gruppo farebbe qualunque cosa per te».

Bearzot friulano in ogni aspetto

«Era un personaggio solitamente inquadrato e rigido. Come un padre».

Dopo 40 anni, nell'aria si respira ancora sapore di festa

«Credo che quella Coppa sia rimasta nella storia come la più bella vinta dalla nazionale, senza offesa per gli altri, e conquistata da una nazione. Intorno a noi c'era un Paese riabilitato alla faccia del mondo. È rimasto un segno indelebile, incancellabile per l'Italia sportiva. Era un periodo difficile, lo sport è stato appiglio per restare a galla. Siamo passati da problemi enormi al senso di rinascita».

Per lei, cremonese, quest'anno festa doppia: anniversario con l'Italia, promozione della Cremonese

«Certo, tutto piacevole ma a Cremona il difficile viene ora: non sarà facile restare in A».

Fra le storie di Italia-Germania si torna al rigore sbagliato da Cabrini. E se fosse stata una chiave positiva, una sveglia?

«Non fu quello il problema. Eravamo convinti di essere più forti. L'episodio non smontò l'idea. Sapevamo che il nostro modo di giocare ci avrebbe portato a vincere. La convinzione era di avere 60 chance noi e 40 loro. Lo avevano capito pure i tedeschi: avevano giocato i supplementari con la Francia, un giorno in meno di riposo. Parlavano i piccoli particolari».

La finale '82 ha messo in ombra Italia-Germania 4-3 in Messico.

«Quel 4-3 sarà sempre ricordato ma questa è stata una finale diventata leggendaria con il contorno di Italia-Argentina e Italia-Brasile. E stata la vittoria della coppa del mondo».

Il Giornale ha indetto una petizione per intitolare una via, una tribuna, a Silvio Gazzaniga che, 50 anni fa, modellò la coppa. D'accordo?

«Sempre d'accordo con qualcosa fatto in senso positivo. Bello perché c'è lo zampino di un italiano».

A proposito di bello: Cabrini lo rappresentava nel calcio ed anche in senso estetico. Oggi vediamo atleti tatuati, figurini da social e da selfie. Che dire?

«Cambia il mondo, cambiano il calcio e gli atleti: va accettato. Le tecnologie e quanto sta dietro sono diventate fondamentali, creano immagine: è tempo di Facebook, Instagram, di milioni di follower. Però vorrei vedere questi ragazzi, tatuati a 20 anni, come saranno a 70: forse faranno un po' impressione».

Chiudiamo con l'immagine ricordo della sua coppa del mondo

«L'arrivo in aereo a Ciampino: 40mila persone in pista che non lasciavano andare avanti.

E adesso la soddisfazione che si parli ancora di noi: è rimasto qualcosa nel cuore dei tifosi».

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