Da Milan-Juventus del 21 maggio a Roma-Udinese di domani, 20 agosto. Dopo 91 giorni di calcio non giocato e tante chiacchiere di mercato riparte ufficialmente la Serie A e la caccia alla Juventus campione di tutto. E se un famoso detto considera l'Italia un paese di santi, poeti e navigatori, alla luce di quanto sta succedendo negli ultimi tempi bisogna aggiornare la voce aggiungendo «mangia allenatori». Perché il rapporto di una volta, quello quasi romantico tra tecnico e società, non esiste più; perché il dio denaro primeggia anche su sentimenti e stimoli e perché, in generale, i tempi cambiano. Ma rimane un dato, unico ed insindacabile, che ci rende unici: la Serie A è stata e rimane un'eccezione rispetto a quanto si vede in giro per l'Europa.
La fortuna vuole che di Zamparini ne esista solo uno, ma è altrettanto vero come, nel nostro campionato, in linea generale sia ancora ad oggi impensabile riuscire ad ipotizzare un novello Ferguson o un giovane Wenger in rampa di lancio. Gente che ha trascorso, rispettivamente, 27 anni sulla panchina del Manchester United e oltre due decadi in carica all'Arsenal. In Italia i cicli con un allenatore possono durare al massimo 4-5 anni, sono i fatti a dimostrarlo.
Nel campionato al via domani l'allenatore che da più tempo siede su una panchina di Serie A è Massimiliano Allegri; scelta logica, visto anche gli ottimi risultati ottenuti nella sua esperienza in bianconero: in carica dal 16 luglio 2014, ha portato la Vecchia Signora fino alla finale di Champions League, cosa non riuscita peraltro nemmeno al suo predecessore Antonio Conte.
Per il resto, il piatto piange. Con l'addio di Ventura al Torino e quello di Gasperini al Genoa, il legame lungo e duraturo con una piazza è pressoché scomparso: e pensare che non si parla di rapporti così articolati, perché l'attuale commissario tecnico della nazionale italiana ha trascorso a Torino solo sei anni, mentre Gasperini a Genova ne ha spesi otto ma in due distinti periodi.
Quelli dell'attuale Serie A sono tutti tecnici figli di storie brevi, fatte di esoneri, litigi e poca pazienza dei presidenti. C'è già chi comincia la stagione con la mannaia del possibile primo esonerato penzolante sulla testa: primato che si contenderanno, stando ai bookmakers, Nicola del Crotone, Rastelli del Cagliari e Oddo del Pescara; e poi c'è chi, invece, deve fare i conti con presidenti vulcanici e dall'umore ballerino: fin troppo facile parlare di Ballardini e del Palermo del già citato Zamparini, ma anche Juric al Genoa e Iachini all'Udinese dovranno stare attenti alle sfuriate di Preziosi e Pozzo. E poi le grandi squadre, con Spalletti, Sarri, De Boer, Paulo Sousa e soprattutto Montella chiamati a mantenere le promesse di bel gioco e risultati.
Ma più si va in provincia e più si vivono situazioni da isola felice: è il caso di Maran al Chievo Verona, l'unico assieme ad Allegri a vivere, ancora oggi, un rapporto di lavoro che dura dal 2014.
Solo negli ultimi dieci campionati sono stati 153 i cambi di panchina in Serie A, con una media di 15.3 a stagione. Nello stesso periodo in Premier League sono stati 73, nella Liga 89 e in Bundesliga 94.
La differenza è notevole e forse trova giustificazione nel fatto che il calcio italiano, sin dagli albori, si è sempre contraddistinto per la sua difficoltà a livello tattico; una difficoltà che porta ad un necessario periodo di adattamento agli schemi più lungo. Ma la pazienza dei presidenti nell'aspettare i risultati sul campo è stata e rimane solo una chimera: e parte già il toto nome per vedere chi sarà il primo allenatore esonerato della nuova stagione.
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