Era il dicembre 2017, piena atmosfera prenatalizia. In quel crocevia post felliniano che è il bar degli studi televisivi del centro di produzione Mediaset di Cologno Monzese, prendere un caffè può essere un’esperienza sorprendente. Ed è quello che stavo facendo quel lunedì, quando mi accorsi di avere accanto, appoggiato al bancone di marmo, Paolo Rossi. Anzi, no, Paolorossi, tutto attaccato, da scrivere come si pronuncia. Oppure Pablito. Era opinionista delle trasmissioni sportive di Mediaset. Per me, figlio degli anni Settanta, fu come un’esplosione di diecimila madeleine proustiane. L’uomo che vedevo a pochi centimetri di distanza aveva ribaltato il destino onomastico; perché chi avrebbe detto che per molti anni l’italiano più famoso al mondo avrebbe avuto il cognome tra i più diffusi in Italia? Poi aveva ribaltato il destino giudiziario; perché chi avrebbe detto che, travolto dallo scandalo scommesse nel 1980 (sempre dichiaratosi estraneo ai fatti), sarebbe riemerso sul campo in maglietta, pantaloncini e scarpini il 2 maggio 1982? E infine aveva scritto l’indimenticabile cavalcata del Mundial spagnolo sempre nel 1982 seppellendo a suon di gol Brasile, Polonia e Germania Ovest; chi l’avrebbe detto dopo le scialbe prestazioni d’esordio contro Polonia, Perù e Camerun? Insomma, un mito assoluto, una vita di discese violente e risalite impetuose. Io lo associavo alle urla di mio padre durante quelle partite indimenticabili: avevo 6 anni e ogni gol era per me anche uno strazio. Perché avevo paura a vedere mio padre che gridava assieme ai suoi amici. Insomma, un po’ ero irretito ad avvicinarmi a Paolorossi. Poi mi ricordai del racconto che mi aveva fatto tempo prima una collega di Prato, Eleonora Della Ratta, che mi disse che la sera dell’11 luglio 1982, dopo la conquista della Coppa del Mondo, suo padre l’aveva presa sulle spalle e se l’era portata davanti all’abitazione dove il bomber abitava con i genitori, con la famiglia. Idea che era venuta a centinaia di pratesi in visibilio. Così raccontai la cosa a Pablito che mi guardò e, ridendo, mi disse: “Quando mi sono sentito al telefono col mio babbo era ovviamente felicissimo per la vittoria, ma anche un po’ impaurito: casa nostra era circondata di gente!”. Mentre parlava gli sorridevano gli occhi. E, chissà perché, mi vennero in mente alcune pagine di un romanzo che avevo compulsato qualche tempo prima, “Storia della mia gente” di Edoardo Nesi, che molto aveva detto dello spirito pratese e dell’operosità della cittadina toscana che aveva dato i natali a uno degli italiani più famosi del mondo. E poi, sempre per associazione, ai telai meccanici sempre in movimento della Prato di Francesco Nuti nel film “Madonna che silenzio c’è stasera”, uscito sempre in quel 1982 che, secondo alcuni, aprì la gioia di vivere degli anni Ottanta e chiuse gli anni di piombo. Tornando al bar di Cologno Monzese, chiesi a Paolorossi quale gol sentisse di più. Mi rispose che i gol erano come figli, li sentiva tutti suoi allo stesso modo. Ma il suo viso s’illuminò quando ricordò il primo gol che aprì le danze contro il Brasile allo stadio di Sarrià di Barcellona il 5 luglio 1982. Cross di Cabrini dalla sinistra, Pablito spunta alle spalle dei difensori verdeoro e di testa infilza l’estremo difensore Valdir Peres. Perché quello? Perché era il gol che lo aveva sbloccato, quell’istinto dell’attaccante che è unico e inspiegabile. E che ci avrebbe fatto gridare per tre volte insieme a Nando Martellini: campioni del mondo! Ci salutammo dopo ovviamente un selfie d’ordinanza. Ma ricordo un mito che aveva gli occhi buoni della sua gente.
Un pratese dai valori solidi, come ne avrei incontrati altri ancora recandomi diverse volte a Prato per lavoro. Grande Pablito. Capace di evocarti un’epoca meravigliosa e piena di sogni nello spazio di un caffè al bancone…- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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