Roma «Vorrei vincere il titolo entro cinque anni», il proclama di James Pallotta (nella foto) appena diventato presidente della Roma, americana da dodici mesi, nel 2012. Di anni ne sono passati di più e non solo non è arrivato quel titolo, ma la bacheca giallorossa è rimasta la stessa dell'epoca precedente. Cinque podi del campionato (con tre secondi posti) e una semifinale europea sono il magro bottino raccolto dal club targato stelle e strisce. Come dire: tante partecipazioni in Champions per incrementare i ricavi, ma nessun trofeo alzato. Con il progetto dello stadio di proprietà, vero obiettivo di Pallotta, impantanatosi nel gorgo della burocrazia e nella vicenda giudiziaria dell'imprenditore Parnasi.
Duecento i milioni spesi in ricapitalizzazione, oltre 600 per l'acquisto di giocatori, una top 11 ceduta per complessivi 371 (gli ultimi in ordine di tempo Alisson, Nainggolan e Strootman passando per i vari Salah, Pjanic, Benatia, Rudiger e Lamela), una quota legata alle plusvalenze che nelle ultime stagioni non ha mai scesa sotto i 65: queste le cifre più significative della gestione giallorossa a stelle e strisce.
Senza dimenticare i tanti uomini alternatisi tra marketing e preparazione della squadra. Solo ora sono arrivati sponsor significativi con tanto di nomi sulle maglie ma il risultato del campo della settima stagione americana è impietoso: già un ko (pesante) in Champions e solo 5 punti in altrettante gare di campionato. Era dal torneo 2010/11 - l'ultimo della gestione Sensi (con la figlia Rosella al comando) - che la Roma non iniziava così male l'annata. Il quattordicesimo posto in serie A fa il paio con lo stesso piazzamento - molto più lusinghiero - nel ranking Uefa alla luce dell'ultima esaltante stagione europea.
Ora la truppa di Di Francesco - che solo 4 mesi fa giocava la semifinale di Champions con il Liverpool - appare come una squadra sconclusionata, senza carattere e personalità. Tutti sono sul banco degli imputati: i dirigenti per la filosofia di gestione e di mercato (cedere pezzi pregiati ogni anno per investire); l'allenatore per l'incapacità di dare un'anima al gruppo; i giocatori (non a caso mandati in ritiro a Trigoria dopo la disfatta di Bologna) implosi a livello emotivo, con gambe e testa che non funzionano. Umore nero del gruppo nell'allenamento di ieri al quale ha assistito pure il ds Monchi, annunciato all'evento «World Football Summit» in corso a Madrid ma rimasto nel centro sportivo giallorosso in questo momento critico.
Con una piazza in ebollizione, nonostante le dichiarazioni di rito («Di Francesco non è in discussione», così l'ex ds del Siviglia), inevitabili le indiscrezioni sui primi sondaggi per un eventuale cambio tecnico. L'«exit strategy» più semplice in momenti difficili. De Rossi, al termine della gara con il Bologna, ha detto che «siamo tutti colpevoli, non vedo perché dovrebbe esserlo solo l'allenatore». Ma intanto circolano i nomi di possibili eredi: Conte è solo una suggestione dei tifosi, Paulo Sousa (ancora vincolato al Tianjin) ha un ottimo rapporto con Franco Baldini, dirigente ombra della Roma, Blanc e Montella restano nella lista anche se l'ex tecnico dei giallorossi non pare avere referenze esaltanti.
Gli echi della sconfitta di domenica hanno attirato anche l'attenzione degli esperti bookmaker d'Oltremanica. Come riferisce Agipronews, Montella si quota a 3, Ranieri (altra vecchia conoscenza dalle parti di Trigoria) a 5, Paulo Sousa addirittura a 15 così come Conte e la «sorpresa» Francesco Totti, Blanc a 25. Più fattibile secondo i bookie Donadoni (8).
Di sicuro c'è che Di Francesco non
ha pensato minimamente alle dimissioni, ma sa anche lui che da qui al derby di sabato - passando per quello di domani con il Frosinone - avrà 180 minuti per riprendere il timone della squadra. O perderlo definitivamente.
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