Papà e mamma Pogacar sul camper già piazzato dove il figlio attaccherà

Ma i genitori negano: "Qui sul Ghisallo solo perché è bello". Lo sloveno punta al 4° giro di fila come Coppi

Papà e mamma Pogacar sul camper già piazzato dove il figlio attaccherà
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«Anch'io ho vinto il Fiandre, come vostro figlio». Il ciclismo è fatto così, è uno sport di strada e sulla strada ci s'incontra. E si può anche brindare ad un ragazzo speciale, come Tadej Pogacar. L'incontro è sulle strade del Lombardia, che si corre oggi, 255 chilometri da Bergamo a Como, con qualche modifica di percorso (niente Passo Ganda e arrivo spostato in viale Cavallotti, ndr) a seguito delle forti piogge degli ultimi giorni, che hanno causato frane e allagamenti.

L'incontro è sul Ghisallo, a un paio di chilometri dalla chiesetta dei ciclisti e dal Museo della bicicletta voluto da Fiorenzo Magni e mandato avanti dal presidente Antonio Molteni e dalla direttrice Carola Gentilini (ieri, qui, sono stati consegnati i premi Torriani all'ex campione del mondo Maurizio Fondriest, al giornalista Gianfranco Josti, al mecenate Elvio Chiatellino e ad una pioniera del ciclismo femminile Morena Tartagni, ndr).

L'incontro è tra Dino Zandegù, campione degli Anni Sessanta, vincitore di un Fiandre (1967) e Mirko e Marjeta Pogacar, i genitori di Tadej, che oggi con la sua maglia iridata di campione del mondo insegue nel suo Lombardia la quarta vittoria consecutiva come solo Fausto Coppi. Un abbraccio, una foto e un brindisi in piena regola grazie all'accompagnatore di Dino Luciano Gasparotto che dalla sua ammiraglia sfodera una bollicina doc. «Ma vi siete messi qui perché questo è il punto dove attaccherà Tadej domani? (oggi per chi legge, ndr)», chiede Dino. «Ci siamo messi qui perché è bello», dicono all'unisono papà e mamma divertiti.

Si vuole divertire anche il loro figliolo, che quest'anno di sfizi se n'è tolti più d'uno: dalle Strade Bianche alla Liegi, dal Giro al Tour al mondiale di Zurigo. «Amo conquistare corse mai vinte ha raccontato ieri Tadej -, ma il Lombardia è il Lombardia: è bello poterci provare per la quarta volta», con quel faccino da bimbo pronto a svuotare l'ennesimo barattolo di Nutella.

Non perde il sorriso nemmeno quando gli porgono una domanda sul doping. «Il ciclismo è vittima del suo passato, quando i corridori facevano di tutto per essere i migliori, anche a costo di rischiare la salute e la vita ha spiegato il campione del mondo -.

Il nostro è uno sport già abbastanza pericoloso così com'è. Se metti a rischio la tua salute per una carriera di dieci anni, è come buttare via la tua vita. Non voglio correre il rischio di ammalarmi un giorno», ha concluso Pogacar.

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