Simone Perrotta, campione del mondo nel 2006 e un decennio nella Roma. Oggi compie 40 anni, come festeggerà?
«Con la mia famiglia, ma prima correrò la Half Marathon Pacis».
Ha 2 figli, uno gioca a calcio...
«Sì, ha 13 anni e deve fare i conti con il cognome che porta. Gioca un po' centrocampista e un po' esterno, ma lui è un calciatore di qualità, io ero più di quantità. L'altro è più piccolo, non ricorda il periodo in cui giocavo, così guarda spesso uno dei Dvd che ho delle mie stagioni».
Lei, calabrese, è nato ad Ashton-under-Lyne in Inghilterra, come Jimmy Armfield e Geoff Hurst. A voi, campioni del mondo, hanno dedicato una statua.
«È stato mio zio che vive ancora lì a dirmelo. Strano che non mi abbiano avvertito. I miei figli sono rimasti sorpresi davanti a quelle dei giocatori dell'Arsenal. E lì ho pensato: "Ma ce l'ho anch'io...".
La maggiore soddisfazione della carriera?
«Facile dire il Mondiale, ma sono molto legato a un gol a Siena (il 2 dicembre 2012, ndr). Con Zeman non giocavo, entrai in campo a dieci minuti dalla fine e segnai il 2-1. Io che non correvo mai verso la curva Sud, andai verso il settore dei tifosi con i compagni».
Cosa le manca del calcio?
«Lasciare è stata una mia scelta. Sarei potuto andare negli Usa, ma ho rinunciato perché avrei danneggiato la mia famiglia in un momento particolare e in Italia avrei giocato solo nella Roma. Mi manca l'atmosfera dello spogliatoio».
Mai pensato alla dirigenza?
«La Roma, quando non mi rinnovò il contratto, mi propose un ruolo da trait d'union fra squadra e società, ma avevo già preso l'impegno con Tommasi in Assocalciatori e se dovevo girare il mondo, avrei voluto farlo quando e con chi volevo».
Ora Totti è dietro la scrivania.
«Sono sorpreso dalla cravatta, non la portava mai. Vederlo in questa veste dà prestigio al club, se Francesco entra nello spogliatoio fa capire cosa vuol dire essere un calciatore della Roma. Avrei voluto vedere anche Del Piero e Maldini in questo ruolo».
Cosa ne pensa del mercato folle di quest'estate?
«Non dipende dai calciatori ma dalle società. Il calciatore ha solo il merito di essere il principale attore di un prodotto che si vende».
Va allo stadio?
«Non ci andavo nemmeno quando ero squalificato, ma portando i miei figli sono rimasto sorpreso da quello che vedono i tifosi, riesci a entrare nella loro testa».
Come vede il campionato?
«L'Inter mi pare una squadra compatta e ha un signor allenatore,
può arrivare in fondo. La Juve è sempre la Juve, il Napoli ha un bel gioco, aspetto a giudicare il Milan, al quale manca forse qualcosa, e la Roma: la partita di Champions con un avversario di tale blasone non fa testo».
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