I l primo sguardo non aiuta mai a comporre il quadro d'assieme. Di solito vedi prima lui, poi la bicicletta. Lui così imponente che quell'altra sembra un triciclo. Abituati a incrociare Bruno Pizzul mentre scavallava sul suo destriero un po' dovunque tra via Losanna e lo stramilanese corso Sempione, ora che se n'è tornato a Cormons ci manca qualcosa: un frequentatore del villaggio. Che fosse pioggia o sole, mattina o sera tardi: chiusa una trasmissione televisiva, pronto a tornare a casa, prendeva la bici e andava. Unica particolarità: addosso uno stoico mantellone con cappellaccio, quando la pioggia scendeva feroce. Bici, che passione! Peccato, raccontò, che Adriano De Zan non gli abbia mai concesso il microfono per qualche telecronaca. Eppure se lo Zoncolan è entrato nella storia del Giro d'Italia è anche merito suo che, con Francesco Guidolin e Edy Reja, spinse Enzo Cainero a proporre la scelta.
Non avendo la patente, il nostro non conosceva miglior mezzo di trasporto: che inforcasse la Legnano o la Bianchi regalata da Felice Gimondi o quella inviata da Marino Basso. Bici d'autore che, ogni paio di anni, scomparivano regolarmente per mano dei soliti ignoti. E così Bruno si è dato a due ruote, direbbe, di anonima fattura. Rassicurante sul fatto che «andare in giro a Milano non è un gesto atletico dispendioso, piuttosto richiede un certo sprezzo del pericolo». Fantastico quando parla. Pizzul ti racconta un fatto ed è telecronaca, fa telecronaca ed è telecronaca, ti saluta ed è telecronaca, fa una battuta ed è telecronaca. È solo un caso se il forbito linguaggio si sgancia dal liceo classico. Massima espressione del disappunto: «Brutto il mondo!». I nipoti se la ridono. La più eclatante delle sensazioni lo spinge ad alzare il tono dicendo: «Emozioni a non finire!».
Corso Sempione è sempre stato un obbiettivo di riferimento. Nel mezzo del lungo vialone è posizionato il palazzone della Rai. Pizzul naviga davanti e dietro le telecamere dal 1969. Fece un concorso per programmisti, gli consigliarono quello per telecronisti. Il rifugio sicuro per le partite di carte era l'ufficio di Beppe Viola e Adone Carapezzi. «La chiamavamo la stanza dei cavallari». Con Ivo Fineschi, Nino De Luca e Carlo Sassi erano fantastiche guerre a scopa d'assi. Il piacere delle carte Nelle sere in trasferta o alla trattoria di via Londonio, dove battagliava con il padrone toscano, amici giornalisti e talvolta capitavano Gigi Radice, Pantera Danova o Giuan Trapattoni. I commensali vicini sentivano qualche urlaccio, ma si rigiravano rassicurati: «C'è Pizzul, tutto tranquillo!». Così nelle telecronache: un garante della pacatezza. Mai voce fuori posto, qualcuno lo criticava dicendolo aulico e ridondante. Se ne sarà pentito ascoltando quelli dei tempi moderni. Abbiamo rischiato anche di non sentirlo mai. Prima telecronaca: Juventus-Bologna spareggio di coppa Italia a Como, appena assunto in Rai. Beppe Viola gli dice: «Dai! Prima andiamo a pranzo, poi è un salto arrivare a Como». Gran mangiata, ma fu coda in tangenziale. Arrivò in ritardo, lo salvò la differita perché, a quel tempo, non c'era il bello della diretta. E nessuno se ne accorse, tranne i dirigenti Rai.
Ecco, Beppe Viola lo conosceva bene e diceva che «la sua massima aspirazione è diventare il miglior giocatore di boccette del quartiere». Altra passione insieme a tresette, ottimo mangiare e miglior bere. Buon vino non mente. Cominciò da chierichetto: lo definì «svezzamento benedetto dall'alto». Con Dino Zoff è stato tra i promotori della campagna in difesa del Tocai. E oggi dice che Roberto Baggio, uno dei suoi preferiti, è un Ribolla gialla. Lionel Messi un Picolit. In nome del bianco litigava con Gianni Brera, che considerava solo i rossi. Forse non si sarebbero trovati neppure sul caffè. Pizzul sostiene che a Milano e Napoli non sanno cosa sia: quello vero si beve a Trieste.
Omar Sivori è stato il calciatore prediletto: gli giocò contro vestendo la maglia del Catania. Sintesi affettiva: «Un mascalzone». Il campo del Cibali era di lava triturata: lui centromediano «bravo ma lento», che prestò capì di dover cambiare mestiere. Il suo calcio dalla A alla Z si ferma alla parola Torino: all'oratorio di Cormons i ragazzi giocavano con un pallone solo. Se lo portavano sempre via i più grandi: tutti tifosi della Juve. Allora lui e gli altri diventarono tifosi del Toro. Poi, certo, c'è anche l'Udinese. La più devastante delle telecronache è stata quella dell'Heysel, parlare di morti e calcio. Due ragazzi lo avvicinarono e gli chiesero di rassicurare i genitori in diretta. Ci pensò molto, eppoi disse: «No, sennò tutti gli altri staranno peggio». Anni dopo i ragazzi gli fecero sapere che avevano capito il rifiuto. Per gli amanti della scaramanzia resterà il telecronista che non ha mai visto lItalia vincere un trofeo importante. Non se n'è fatto un cruccio. In Italia ci immobilizziamo davanti ai gatti neri. A Cormons il contrario: fecero fuori tutti i gatti tranne quelli neri. Per questa ragione Alfredo Pigna non ci mise più piede, da buon napoletano scaramantico. Eppure Pizzul è rimasto il telecronista con il maggior indice di ascolto: Italia-Argentina, mondiale 1990, 27 milioni e mezzo, un record tuttora imbattuto. A proposito di telecronache, Nicolò Carosio gli insegnò un trucco: «Nella malaugurata ipotesi tu fossi astemio, fatti vedere con vino o whisky. Qualche stupidata la dirai sempre, che almeno ti dicano: hai bevuto?». Lo hanno dato morto due volte, ma è ancora qui. La seconda lo ha scoperto mentre giocava a carte. Seccato soltanto dal continuo squillar di telefono. Peggio la sua signora, tempestata da chiamate perché il marito non rispondeva più. La signora preferisce ascoltare Beethoven, lui l'osteria. Difficile trovarsi, però si sono sposati. Ora, a 79 anni, Bruno è tornato a Cormons, dice che deve difendersi dalla cultura dell'osteria.
Sta a un passo dalla Slovenia: non a caso l'ultima sua telecronaca azzurra fu Italia-Slovenia. Quando gli ho detto, scriviamo sui grandi giornalisti. Lui mi ha corretto: «Così mi fai diventare rosso. Anziché fra i grandi, mettimi fra quelli alti».(23. Continua)
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