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"Pogba come Schwazer. È la solitudine dei numeri primi"

Donati: "Quante analogie. Oro, mondiali e soldi, poi caduta e bisogno di tornare. Ma con le persone sbagliate accanto"

"Pogba come Schwazer. È la solitudine dei numeri primi"
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Una marcia lenta e dolorosa, rallentata dal dubbio e dalla paura, quella di non tornare più dove si era stati così bene. Là, in cima a tutto, dove c'è gloria e trionfi, persino estasi. Paul Pogba si è trovato anche lui per troppo tempo senza un pallone fra i piedi e con quella dannatissima strada da percorrere con il peso del dubbio. Una marcia verso l'ignoto e la rinascita, spostata a più riprese un po' più in là. Una marcia inesplorata in una notte buia piena di fantasmi che non ne vogliono sapere di uscire da quelle teste intossicate da dolore e fatica, attese e date.

Una marcia lenta e faticosa dicevamo, come se Paul fosse un Alex Schwazer alle prese con un destino che improvvisamente cambia direzione. Entrambi campioni adorati e glorificati, entrambi atleti di vaglio assoluto con onori, ori e denari, per Pogba molti, molti denari. Poi il buio. Il marciatore altoatesino che si ritrova improvvisamente senza un guida, quel Sandro Damilano amico e allenatore di primo livello. «Se mi si chiede un punto di congiunzione tra la storia di Pogba e quella Schwazer dico la solitudine esordisce Sandro Donati, allenatore, amico e convinto assertore dell'innocenza del marciatore altoatesino -. Alex, ad un certo punto della sua carriera, dopo la consacrazione olimpica di Pechino 2008 e prima che fosse fermato il 6 agosto del 2012 per una positività all'eritropoietina ricombinante, era un ragazzo solo e spaesato: credo come Paul. Alex era in una situazione di depressione e di confusione totale. Aveva dovuto rinunciare al suo allenatore storico Sandro Damilano e non gli era stata prospettata né dalla Federazione né dal gruppo sportivo una alternativa adeguata». Sandro Donati si ricorda bene quello che fu costretto a passare Alex Schwazer, quando fu squalificato per tre anni e sei mesi e, nel 2015, la II Sezione del Tribunale nazionale antidoping del Coni gli aggiunse tre mesi per aver eluso il prelievo dei campioni biologici: il marciatore aveva chiesto in quell'occasione all'allora fidanzata (Carolina Kostner, ndr) di dire che non era a casa. «È facile finire in un girone infernale aggiunge sempre Donati -. In certe situazioni finisci in un futuro distopico. Gli errori si sommano e si confondono: errori in allenamento, involuzione tecnica, non ne esci più». Uomini di talento che si trasformano in Uroboro, in quel drago o serpente che si morde la coda. «È la solitudine dei numeri uno e primi, ma ancor prima di quella solitudine, si cela probabilmente la mancanza di competenze adeguate. Per competenze intendo persone che grazie alla qualità dei loro interventi assicurano all'atleta un'assistenza adeguata nella rieducazione post infortunio, atte a colmare le lacune che l'atleta ha accentuato durante l'infortunio per quella naturale bramosia di ritornare». Una marcia lenta e dolorosa, che accomuna Paul ad Alex, due fenomeni, due fuoriclasse adorati e glorificati, entrambi oggi accomunati da un destino comune: un viaggio all'inferno. «Alla base di tutti i miei infortuni c'era la testa e il mio corpo ha reagito di conseguenza. Io ero stressato, il corpo era teso», questo è quello che il francese diceva solo a giugno, quando in fondo al tunnel cominciava a intravedere un po' di luce.

«Quello che mi fa specie di tutta questa vicenda, sono le considerazioni fatte da molti medici sulla sostanza assunta: il testosterone aggiunge Donati -. È un doping sorpassato, ho letto.

Non è questo il punto. Il punto è che il testosterone è doping, dà forza, toglie la fatica, aumenta la produzione dei globuli rossi e di conseguenza migliora l'ossigenazione. Forse è il caso che si vadano a ripassare qualche lezione».

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