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«Quando Lancia era l'auto di Papi, regine e attrici»

Il due volte campione del mondo: «C'è sempre spazio per una via di mezzo tra Delta e Fulvia»

Gabriele Villa

Bassano (Vi) Dall'87 al 91 sei titoli mondiali costruttori, due Campionati del mondo piloti nell'88 e nel 89, poi altri traguardi d'orgoglio, come il Rally di Montecarlo e il Safari Rally in Kenya. Ben 17 vittorie mondiali. Un record che nessuno ha eguagliato in Italia.

Ma l'unico rally che non è ancora riuscito a vincere è quello della Nostalgia. Nostalgia di una Lancia che fu.

Lui, è Massimo Biasion, per tutti Miki. Sessantuno anni che sembrano 30 per la sua voglia, anzi, «voglissima». Di guidare, correre e vincere. Con le macchine vere, come le definisce

Scusi Biasion, che cosa intende per macchine vere?

«Nessuna polemica, le auto di oggi vanno bene, e gli aiuti alla guida sono preziosi, soprattutto quelli che mettono il guidatore al riparo dai pericoli che spesso derivano dalla distrazione. Ma l'elettronica toglie il gusto del coinvolgimento tra il pilota e la macchina stessa, toglie il fascino del piacere. Le macchine di un tempo questo fascino lo avevano, quelle di oggi lo hanno perso e fatto perdere».

Nostalgia di quelle auto o solo delle vetture con il logo Lancia sulla calandra?

«Nostalgia di un tempo che fu e, purtroppo, in particolare della Lancia di un tempo. Io mi ero innamorato del marchio torinese anche certamente per il mito Sandro Munari, così quando cominciavo a fare le scorribande, i traversi e le sbandate sulla neve il mio sogno era diventare un pilota Lancia. Un sogno che si avverò quando nell'85 indossai i colori della Martini Racing per guidarle».

Che cosìè Lancia per lei, ma anche per chi ama le auto?

«La Lancia era l'auto delle regine, delle attrici, dei Papi. Era la macchina dell'eleganza e della classe italiana per eccellenza. Era, come dire, la Sofia Loren delle auto, che sapeva ammaliare ma anche graffiare con spudoratezza quando trionfava nei rally con la Stratos, la Fulvia, la Delta. Condannarla all'oblio è un errore, basti vedere l'interesse e i numeri che fa tra i collezionisti ancora oggi. Ci vorrebbe poco, con un passato così importante per far resuscitare un marchio simile».

Se le chiedessero di scegliere tre nuovi modelli Lancia da produrre?

«Mi orienterei per fasce di mercato. Quindi un'auto di alta gamma, una premium, elegante, magari ibrida, ma non necessariamente elettrica, dove si stia comodi come in una Rolls-Royce, ma dove si ritrovino quei dettagli di classe e quelle sfumature che solo gli italiani sanno aggiungere con la loro artigianalità. A mio avviso, in Fca potrebbero tranquillamente farla perché hanno le piattaforme per inventarsi un modello simile. Poi non trascurerei il lato sportivo, che è nell'heritage del marchio, e quindi realizzerei un'auto che sia grintosa e prestazionale, una via di mezzo tra Delta e Fulvia, che sono nel cuore degli appassionati. Quindi confermerei in gamma Ypsilon , che continua a fare dei numeri importanti e resta un evergreen».

C'è anche un Biasion restauratore di Lancia...

«Lancia è sempre viva, così, io e i fratelli Stefano e Ivan Parussini ci occupiamo del restauro di esemplari stradali e da corsa. Abbiamo dato vita a Italia Motorsport che, a Codroipo, è diventato un centro di eccellenza per la rinascita delle Delta. Riportiamo a nuovo le vetture con la massima attenzione a ogni singola vite e bullone. C'è anche una numero 002, il primissimo prototipo usato nell'86, la prima vettura d'asfalto che ho disintegrato all'isola d'Elba e che adesso sto ricostruendo».

Dopo tanti successi, c'è un trofeo in bronzo che le è molto caro?

«E' l'elefante, trofeo del Safari Rally in Kenya, la mia più grande soddisfazione. Una vittoria che il gruppo Fiat aveva inseguito per anni».

Guarda caso un elefantino è divenuto il logo di una serie Ypsilon, Quando si dice forever.

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