Hanno scoperto l’altra faccia della vita e hanno capito che non è il caso di lasciarsi sedurre dalle luci abbaglianti della popolarità. Antonio e Rino, inedita coppia milanista, dove Antonio sta per Cassano e Rino per Gattuso, da molti mesi a questa parte, hanno fatto ditta con ospedali e specialisti e con la sofferenza, silenziosa, della malattia, finendo nel cono d’ombra che ingoia chiunque, anche chi dispone di un fisico d’atleta, supercontrollato. Per tante settimane, troppe, hanno vissuto la loro condizione abolendo apparizioni in tv e in pubblico, cestinando le cento richieste di interviste esclusive, restando ai margini di stadi e campi d’allenamento. Neanche quando il sole della guarigione possibile e vicina ha ripreso a riscaldarli, hanno deragliato dal binario del composto silenzio, per evitare magari di farsi compatire e di dover raccontare non più gol e dribbling improbabili ma solo appuntamenti con specialisti in giro per l’Italia.
Antonio Cassano ha eletto a suo rifugio la sua casa di Genova, il figlio e la moglie Carolina, una roccia di donna, sono diventati i suoi preparatori psicologici capaci di consolarlo. Con loro ha ripreso in mano la vita dopo l’intervento al cuore. E nell’attesa di capire se potrà tornare prima dell’estate per salire sul charter azzurro destinato all’europeo («non sono fatto per fare la mascotte, andrò in Polonia solo da calciatore» la sua confessione privata a Prandelli e procuratore), ha preso a fare tanti chilometri, seguendo le indicazioni dei cardiologici che lo hanno avuto in cura. A piedi e in bici. «Ho fatto tanti di quei chilometri che sarei potuto andare a piedi da Genova a Bari», raccontò un giorno per strappare un sorriso nei corridoi di Milanello dove la sua presenza riesce a conciliare il buon umore collettivo. «Mister, hai firmato il rinnovo? Adesso mi devi sopportare ancora a lungo» fu l’altra battuta riservata ad Allegri che ieri l’ha incoraggiato: «Spero di consegnare a Prandelli il miglior Cassano: stava facendo la sua miglior stagione». Segno che l’ombrellino applicato al forellino dell’atrio del suo cuore ha prodotto un magico risultato. E cioè gli ha moltiplicato la voglia di calcio e di vita, «proprio come quando era un ragazzino e tirava calci nei vicoli di Bari» la descrizione dell’avvocato Bozzo, il suo agente che è per Fantantonio qualcosa di più di un parente stretto.
Rino Gattuso ha avuto una sola debolezza. E ha avuto il coraggio di confessarla come sanno fare tutti gli uomini veri che non hanno paura di ammettere una sconfitta se poi conoscono il modo per rialzarsi e tornare a vincere. Nei mesi in cui l’occhio era fermo, perso, e la vista compromessa, non si è nascosto. Non si è nascosto alla figlia che pure, amorevolmente, lo prendeva in giro («papà ha gli occhi storti»), o a moglie e parenti, persino ai clienti della sua pescheria a Gallarate, oppure ai giornalisti convocati in una conferenza stampa inaugurata dall’omaggio a Simoncelli. Si è mostrato senza pudori ai colleghi durante la consegna degli oscar del calcio. A tutti, tranne che a papà Franco e alla tenerissima mamma, ha voluto risparmiare loro quel supplizio. Solo adesso che l’occhio è tornato vivo e che col dosaggio di cortisone ridotto potrà ottenere l’idoneità per tornare a respirare il profumo dell’erba, si è mostrato ai genitori rimasti in Calabria.
Massicce dosi di cortisone e lunghi viaggi a Bologna, nello studio dello specialista Rocco Liguori, hanno scandito la vita di Rino che è entrato in contatto con la sofferenza pura e la malattia carogna. «Con me c’erano bambini di 5-6 anni alle prese con disturbi mentali» spiegava Rino per raccontare la sua angoscia, mista alla speranza.
Ha perso quattro mesi di tempo, una diagnosi sbagliata, prima di trovare il bandolo della matassa, di buttar via gli occhiali e di riprendere il suo posto dinanzi all’armadietto dello spogliatoio di Carnago per tornare il Gattuso di un tempo. Quello capace di correre e litigare per conquistare un solo pallone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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