Roma, che tracollo Rudi senza stile e ritmo

Dal «violino» di Torino ad oggi soltanto polemiche E dal 4-2 all'Inter di novembre nemmeno un gol a gara

Roma, che tracollo Rudi senza stile e ritmo

Lo spettro del fallimento aleggia sulla Roma. Una crisi al limite dell'assurdo ha compromesso una stagione che nei pronostici dava i giallorossi tra i protagonisti assoluti. Invece un 2015 finora da incubo in campionato ha rimesso tutto in discussione. Un'involuzione in cui tutti sono colpevoli, ma con un responsabile su tutti: Rudi Garcia. Dentro e fuori dal campo. Con i fatti e con le parole. Dopo una prima stagione entusiasmante, oscurata solamente da una Juve formato 102 punti, di quella Roma non c'è più traccia. Nei risultati e soprattutto nel gioco. Le spiegazioni possono essere diverse, come la decisione di Garcia di cambiare preparatore atletico e quindi di puntare sulla forza più che sulla velocità. E gli infortuni, molti comunque traumatici, e la condizione fisica della squadra, a tratti ferma, non possono essere solo una coincidenza anche se rispetto all'anno scorso la Roma gioca le coppe.

Finora il campionato della Roma è spezzato in due: c'è un prima e un dopo la sfida con l'Inter vinta 4-2 a fine novembre. Non solo perché da allora i giallorossi non hanno più vinto in casa. Ma perché hanno praticamente smesso di segnare. Prima viaggiavano alla media di 1,92 gol a partita ora a quella di 0,93. Addirittura due reti segnate nelle ultime cinque gare. Garcia non è riuscito a trovare alternative al Totti falso nove che lancia gli esterni. Anche perché Gervinho è tornato lo sciupone ammirato all'Arsenal e Iturbe mister 30 milioni è fermo alla miseria di un gol in campionato. I rimedi di gennaio hanno addirittura peggiorato la situazione: l'impresentabile Doumbia e l'infortunato Ibarbo.

E qui emergono le responsabilità dell'altro grande imputato, il ds Sabatini.

Ma l'allenatore francese non ha convinto nemmeno fuori dal campo. Il violino polemico allo Juventus Stadium è stato il segnale di un cambio di stile che lo ha portato a trascinare a lungo la polemica sugli errori arbitrali nella sfida con i bianconeri. Non meno grave giustificare l'eliminazione dalla Champions dopo il ko in casa con il Manchester City aggrappandosi a budget e bilanci. Era meglio ascoltare i campanelli d'allarme arrivati dalle sconfitte con Juve, Napoli e il cappotto con il Bayern. E che l'idillio con la squadra non sia più quello di un tempo lo confermano anche le parole dopo il Chievo in cui si faceva riferimento a indicazioni tattiche date in settimana e poi non attuate alla domenica. Ora dopo il ko con la Sampdoria ha puntato il dito contro i big: «I talenti devono essere decisivi».

Il paradosso è che comunque la Roma resta seconda e ha toccato il fondo nella migliore delle ultime dieci partite giocate in campionato. Un segnale di risveglio in vista della gara di ritorno con la Fiorentina in Europa League e nella volata Champions in campionato.

Ieri nel discorso alla squadra ha ribadito che tutti sono in discussione, concetto ribadito dall'ad Baldissoni. E Garcia, involontariamente, ci si era già messo subito dopo il ko con la Sampdoria: «Non sarò mai un peso per questa società, darò tutto fino alla fine del campionato poi a fine stagione faremo i conti». Per farli tornare, l'accesso alla Champions League è fondamentale. Ma intanto ha perso la fiducia. Roma è tornata indietro nel tempo, all'estate del 2013, fischiata e insultata come allora dopo la finale di Coppa Italia persa contro la Lazio.

Garcia ebbe il merito di ricompattare squadra, ambiente e società. Ora rischia di distruggere tutto anche perché c'è proprio la Lazio a insidiare il secondo posto. Finire dietro ai cugini significherebbe fallimento. E aprirebbe scenari da rivoluzione. E stavolta non sarebbe francese.

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