Roma I due derby di Coppa Italia non hanno insegnato niente alla Roma spesso supponente di Spalletti. Così il collega Inzaghi - ormai molto più che un allenatore rivelazione con uno stipendio 8 volte inferiore a quello del toscano - si prende la stracittadina di forza, con le proprie armi (squadra corta, difesa bassa e letali ripartenze) e lo fa «distruggendo» gli avversari. Profetico era stato lo striscione della curva Nord biancoceleste («arrivederci al prossimo incubo»): la Lazio è tornata a festeggiare una vittoria con i giallorossi in campionato dopo 4 anni e mezzo.
Inzaghi con il pass europeo in tasca, la truppa di Spalletti schierata in maniera pessima e con una difesa colabrodo, apparsa «scoppiata» nella testa e nel fisico. Derby perso, scudetto perso (già domenica, sette giorni prima dello scontro diretto con la Juve, potrebbe arrivare la sentenza matematica), secondo posto a rischio. E senza alibi delle Coppe. Il tecnico romanista, nella pancia dell'Olimpico, ha sottolineato che i bilanci si faranno il 28 maggio. Anche se alla vigilia sosteneva che l'annata della sua squadra era già da considerarsi eccezionale. La schizofrenia dialettica del tecnico è uno dei motivi di sbandamento di un gruppo che ha fallito tutte le gare chiave della stagione. Nel nuovo corso post-Totti, con Monchi dirigente e quasi sicuramente con un nuovo allenatore, la Roma dovrà dimostrare più umiltà, determinazione e lucidità.
Il verdetto del campo è stato impietoso nonostante due favori arbitrali: il bravo Orsato, mal consigliato dai suoi assistenti d'area Damato e Di Bello, stecca la stracittadina con due decisioni sbagliate. La Var gli avrebbe dato una mano sul penalty - il 13° stagionale per la Roma - concesso a Strootman (ma nell'intervallo, come svelato da Inzaghi, ha ammesso l'errore). L'olandese, dopo lo svenimento all'andata per la «doccia» di Cataldi, è stato protagonista negativo di una simulazione manifesta. Atteggiamento che fa il paio con l'esultanza smodata e isterica di De Rossi dopo il rigore trasformato. Senza dimenticare i vaffa di Dzeko a Pescara, altro episodio che conferma una situazione psicologica allarmante nello spogliatoio. In linea con il comportamento di Spalletti, che lascerà Roma nonostante la retromarcia delle ultime settimane.
A spaccare la gara è il Keita improvvisato centravanti per il forfait di Immobile, colpito da un virus intestinale. Il senegalese è spesso solo a ballare con i lupi, ma sigla una doppietta (5 i suoi gol nell'ultima settimana), la prima di un laziale nel derby dal novembre 1998. Un altro protagonista inatteso è Basta, autore del gol che stoppa (nomen omen) la già ardua corsa al titolo dei giallorossi. La Lazio è in paradiso, la Roma vaga in purgatorio in vista di un delicato finale di stagione. L'ultima di un Totti che avrebbe meritato un addio al derby migliore: con il pubblico romanista che ha lasciato gli spalti in anticipo, il capitano giallorosso è stato gratificato più dai laziali che dai suoi.
Belli il gesto - la richiesta della maglia - e le parole di Biglia («la rivalità è un conto ma per chi ama il calcio è impossibile non stimare Totti»), il team manager Manzini lo ha cercato alla fine per stringergli la mano.
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