La Sanremo di Nibali e Viviani: "Ecco perché ci siamo pure noi"

Vincenzo e il bis: «Mi basta stare bene mentalmente e...» Elia e il sogno: «Stufo di sentire che è troppo lunga per me»

La Sanremo di Nibali e Viviani: "Ecco perché ci siamo pure noi"

La cosa più difficile della Sanremo è azzardare un pronostico. Corsa apertissima, democratica e inclusiva. Sorride a tutti: a velocisti e passisti, cacciatori di classiche e scalatori. L'importante essere corridori di talento, con doti di resistenza e fondo, perché è in ogni caso la corsa più lunga al mondo con i suoi 294 chilometri di sviluppo e non finisce mai ad un pinco pallino qualsiasi. Se poi si pedala in favore di vento e in una giornata di sole, le probabilità che arrivi in via Roma un gruppetto di uomini veloci si alza notevolmente. Se, come un anno fa, la corsa si fa dura per pioggia, gelo e vento contrario, i corridori di classe e talento puro come Nibali possono sperare di fare il colpo.

Generalmente la Sanremo impone 6 ore e 50' di bici; un anno fa Nibali ha tagliato il traguardo dopo 7 ore e 18' di sella: trenta minuti in più di sforzo fanno la differenza, cambiano le gerarchie in campo. Fiacca le ambizioni degli uomini jet ed esalta quelli di resistenza. L'Italia schiera il numero 1, l'ultimo vincitore, che poi è anche il simbolo mondiale del nostro movimento: Vincenzo Nibali. E poi c'è lui, Elia Viviani, il numero uno del velocismo mondiale, fasciato dal tricolore, che dopo l'oro olimpico di Rio su pista sogna la definitiva consacrazione anche su strada, nella corsa che più ama e gli si addice.

Paura?

NIBALI. «Perché mai? Sono sereno, non sono al top, ma neanche un anno fa lo ero. Questa è una corsa nella quale devi stare molto bene mentalmente e, soprattutto, saper cogliere il momento. Un anno fa quando sul Poggio ho visto partire il campione lettone Neilands, mi sono fatto guidare dall'istinto. Poi quando mi sono trovato da solo ho insistito: l'importante, in quelle situazioni, è non girarsi mai. Testa bassa e pedalare. Mi è andata bene».

VIVIANI. «C'è la giusta motivazione, e la giusta adrenalina. È tre mesi che corriamo in giro per il mondo, e io ho già raccolto 4 vittorie (un anno fa 18, nessuno come lui, ndr). Sto bene e ho al mio fianco una squadra pazzesca (Deceuninck Quick Step, ndr): possiamo giocarci più di una soluzione, ad incominciare da Julien Alaphilippe, che è forse l'uomo più in forma del momento (ha vinto tra l'altro la Strade Bianche e due tappe alle Tirreno, ndr). Sta andando da far paura. Lui ha la libertà di provare a fare come Nibali, io dovrò esserci se sarà volata».

Corsa lunga, lunghissima, dal finale elettrizzante

N. «La Sanremo è unica. Il fascino di questa corsa lo si respira fin dalla vigilia. In corsa si sente che non è una delle tante, ma è una gara che ha un peso specifico pazzesco. L'albo d'oro è li da vedere: parla da solo. Basta leggerlo: c'è anche il mio nome, e io ne vado fiero».

V. «Mi sento dire da quando corro che è troppo lunga per un corridore come me. Sono stufo di sentire questi discorsi, ma so anche perfettamente che per mettere tutti d'accordo, devo solo vincerla».

Corsa facile e complicata.

N. «All'apparenza è la più elementare, ma essendo anche la più aperta è chiaramente anche la più difficile da controllare e vincere. Uno come Mario Cipollini, tanto per fare un nome, l'ha vinta solo una volta in carriera, non so se mi spiego».

V. «È davvero una lotteria. Come si fa a vincere una corsa simile? Se lo sapessi ve lo racconterei, ma devo ancora scoprirlo. Pensate che un fuoriclasse come Peter Sagan è nella mia stessa situazione: deve ancora vincerne una. Insomma, sono in buona compagnia».

I pretendenti sono davvero tantissimi.

N. «Noi come Team Bahrain possiamo puntare su Sonny Colbrelli o Matej Mohoric. Ma gli uomini che possono ambire a questo primo grande traguardo stagionale sono davvero tantissimi. Da Alaphilippe a Sagan, passando per Gaviria e Kristoff, Matteo Trentin o Alberto Bettiol, ma occhio a Caleb Ewan».

V. «La Sanremo è bella per questo: può sorridere ad un gran numero di corridori. Noi avremo certamente gli occhi di tutti addosso. E questo è uno stimolo in più per portare a casa il risultato. Se sarò io tanto di guadagnato, se sarà un mio compagno di squadra andrà ugualmente bene. Un nome da tenere d'occhio: ve ne dico due. Sono velocisti: Fernando Gaviria e Dylan Groenewegen. Il colombiano ha tutto per poter ambire a questo traguardo; l'olandese è alla sua prima esperienza, ma non va sottovalutato».

Dove si deciderà questa Sanremo?

N. «La Cipressa dà sempre lo stato di salute dei corridori, il Poggio può spianare la strada a chi spera di anticipare i velocisti. Ma se sarà bel tempo vedo una volata».

V. «Comunque vada bisogna superare bene il Poggio. Se uno come me scollina troppo indietro non recupera più».

Quanto incide la fortuna in una classica di questa levatura?

N. «Tantissimo, ma in ogni caso devi avere le gambe e la condizione per essere lì pronto a cogliere l'attimo».

V. «Conta parecchio, ma come in qualsiasi corsa che si rispetti. Alla Roubaix, il fattore fortuna è anche più evidente. Basta una caduta o una foratura al momento sbagliato e sei spacciato».

E in caso di vittoria?

N. «Un anno fa, appena dopo il trionfo di via Roma, mi ha telefonato Eddy Merckx in persona, l'uomo dei record e delle sue sette Sanremo. Mi ha fatto enormemente piacere, quanto la telefonata di Felice Gimondi, il corridore al quale forse assomiglio di più.

Se dovessi vincere ancora chi potrebbe telefonarmi ancora: non oso nemmeno immaginarlo...».

V. «Posso evitare di rispondere a questa domanda? Non dico niente. Non posso dire niente. Fatemela prima vincere, poi vi dirò...».

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