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Il Sei Nazioni in stile F1 L'Italia dell'ovale rischia se non fa tornare i conti

Sbarca il fondo CVC con 300 milioni di sterline Adesso si deve «convincere» in campo e fuori

Il Sei Nazioni in stile F1  L'Italia dell'ovale rischia se non fa tornare i conti

C'era una volta Cenerentola ovvero la favola dell'Italrugby che da brutto anatroccolo diventava cigno e saliva sul palcoscenico della palla ovale che contava anche i soldi. Ai tempi del Totocalcio non si arrivava ai 3 miliardi di vecchie lire. A tanto ammontava l'assegno che il Coni staccava ogni anno alla Fir. La disciplina era rigidamente codificata: solo dilettanti e gli stessi stranieri che approdavano in Italia mascheravano i compensi con la voce rimborso spese. Dal 1995 arriva la svolta: cambia il codice il rugby diventa pro e con le vittorie dell'Italia di Coste arriva anche il biglietto per il Sei Nazioni. Arrivano le vittorie ed aumenta il fatturato del rugby Italia che arriva a toccare i 45,2 milioni di euro nel 2012. Il rugby diventa un modello anche perché riempie gli stadi, crea interesse e muove soldi snocciolando nel calendario eventi come il mondiale o il Sei Nazioni che questo pomeriggio a Cardiff con l'Italia taglia il nastro della ventunesima edizione.

A partire da quest'anno tra gli stakeholders del torneo c'è anche il fondo CVC che dopo la Formula 1 ha deciso di investire in mischia. La quota è del 27% (300 milioni di sterline) oltre a un altro 15% (120 milioni) buttato nel Pro14, il torneo celtico che mette ai nastri di partenza Benetton e Zebre, le due franchigie di alto livello del rugby italiano. Per il mondo ovale è un cambio di rotta, abituato come era a non cambiare una virgola delle vecchie consuetudini. Gli anni passano per tutti ma i rischi (soprattutto di tenuta) di una simile operazione ci sono tutti.

E l'Italia non ne è esente soprattutto perché i tempi dell'Eldorado di una volta non c'è più. E non solo perché nel Sei Nazioni non si vince dal 2015 ma anche perché le casse Fir non sono ricche come quelle di una volta. Secondo il Coni i bilanci sono formalmente corretti a dispetto di qualche turbolento dissenso da parte dei revisori dei conti ma il fatto che negli anni si sia erosa la capacità di spesa della Fir è un fatto. L'Italia che non vince, l'Olimpico non più sold out, in una parola il rugby azzurro sempre più anello debole del rugby che conta, ci costringe a cambiare rotta. La tradizione in una parola non paga più. Con le quote in mano ai fondi di investimento e con l'aria ad ogni batosta che evoca la retrocessione degli azzurri in una ipotetica poule B del Championship, il rischio del più classico calcio nel sedere si materializza dietro l'angolo. La stessa partita contro gli All Blacks cancellata durante il mondiale perché ininfluente la dice lunga sulla nostra considerazione internazionale.

Per questo il Sei Nazioni che va a incominciare contro il Galles diventa l'occasione per recuperare in credibilità. Dopo il mondiale tutte le grandi squadre ripartono da zero o giù di lì, nuovi nomi tra campo e panchina per scommettere su un ciclo che dura 4 anni e che porta al prossimo mondiale. Così anche l'Italia che saluta Parisse e gli altri e scommette su Franco Smith come tecnico pro-tempore. Un'Italia con un nuovo Dna, possibilmente indigeno. Smith conosce il rugby italiano avendo allenato il Benetton. E' l'unico appiglio al quale possiamo attaccarci. Il resto sono chiacchiere da bar.

Le solite, tipiche di una vigilia che ora attende solo una vittoria.

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