Era di valore didascalico la proposta del ministro Abodi di accompagnare l'emendamento spalma-debiti inserito nella manovra del governo Meloni con il codicillo secondo cui i club che avessero fatto ricorso al provvedimento (60 rate in 5 anni con il 3% di mora) avrebbero dovuto fare un calcio-mercato a saldo zero. La proposta è stata respinta, è rimasto il testo a favore dello sport che consentirà adesso ai club maggiormente esposti con il fisco (Inter 50 milioni, Lazio per 40 milioni, Roma 38 milioni, Juve 30 milioni, Napoli 25 milioni, Fiorentina 15 milioni, Milan 10 milioni la classifica in serie A) di versare solo le prime 3 rate nelle prossime ore con l'avvertenza che una sola rata saltata farà perdere tutto il beneficio.
Probabilmente non servirà la norma Abodi per regolamentare la prossima finestra di calcio-mercato che si presenta poverissimo di mezzi finanziari e ricco soltanto di buone intenzioni. È giusto così perché sarà bene invertire la tendenza di un mondo che racconta favole ai propri sostenitori nascondendo la realtà di bilanci disastrati e di debiti che crescono. E intendiamoci bene: non si paga solo il costo, salato, della pandemia. Qui sono venuti a galla gli errori commessi nelle passate stagioni, le spese pazze per campioni dagli stipendi faraonici effettuate da dirigenti irresponsabili.
La classifica delle tasse non pagate per Irpef non versata sugli stipendi riporta alla luce un altro aspetto sollevato dallo stesso ministro Abodi.
E cioè che oltre alle plus-valenze farlocche - impossibili purtroppo da disciplinare con regole ferree - la pratica viziosa di destinare le somme dovute allo Stato ad acquisti o investimenti, ha sicuramente alterato il principio dell'equa competizione. Perché se io club virtuoso pago fino all'ultimo euro e non riesco a fare altri investimenti tecnici non posso competere con chi utilizza quelle cifre per acquistare un calciatore che fa concorrenza alla mia squadra.
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